di Marcello Bussi

La City è sempre più in fibrillazione di fronte all’esito incerto del referendum di giovedì prossimo sull’indipendenza della Scozia. Ieri Royal Bank of Scotland (Rbs), che dalla sua fondazione nel 1727 è basata a Edimburgo, ha annunciato che in caso di vittoria dei sì sposterà la propria sede legale in Inghilterra.
Rbs, controllata all’80% dal governo del Regno Unito a seguito della crisi finanziaria del 2008, ha spiegato che il referendum solleva «una serie di rilevanti incertezze», che «potrebbero penalizzare il rating creditizio della banca e il panorama fiscale, monetario e legale e regolamentare a cui siamo soggetti». Anche Lloyds Banking, detenuta al 25% dal governo del Regno Unito, ha detto che in caso di vittoria del sì sposterà la sede legale da Edimburgo a Londra. Mentre Standard Life vuole avere la certezza che i clienti non scozzesi siano tutelati dalle autorità di regolamentazione finanziaria inglese qualora nel referendum gli elettori votassero per l’indipendenza della Scozia. Alla luce di questa determinazione, la società sarebbe portata a trasferire la maggior parte dei propri fondi fuori dalla Scozia e a registrare nuovamente le proprie attività in Inghilterra. Di fronte a questo fuoco di fila, il primo ministro scozzese, Alex Salmond, ha replicato che la Scozia ha una grande ricchezza a disposizione e il governo di Londra sta portando avanti una «sfacciata intimidazione». 
Il leader degli indipendentisti ha assicurato che la Scozia può «camminare da sola» perché ha il «pil pro capite più alto di Gran Bretagna, Francia o Giappone». Ma anche il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha ammonito che una vittoria dei sì creerebbe «incertezza» e «potrebbe portare nel breve termine a reazioni negative dei mercati». E secondo Alessandro Fugnoli, di Kairos, «potrebbe essere un buon pretesto per la tradizionale correzione d’autunno. Tutte le banche centrali saranno impegnate a frenare il più possibile la volatilità, prima sui cambi, poi su tassi e borse. Non potranno, però, fare miracoli». In particolare, «la Spagna sarà attaccata dai mercati» per il timore di contagio scozzese alla Catalogna, dove ieri a Barcellona si è svolta una manifestazione oceanica a favore dell’indipendenza. L’aumento dello spread spagnolo «coinvolgerà anche l’Italia, ma la Bce sarà pronta a contenere i danni». Ma comunque si aprirà un prolungato periodo di volatilità.

Se vinceranno i no, invece, secondo Fugnoli «il rally di sollievo sarà breve e modesto (tranne a Londra)». «Si sta preparando un piano nel caso di una vittoria del sì per il mantenimento della sterlina e la tenuta dei mercati anglosassoni. Si spera che passi il no», ha affermato Claudia Segre, segretario generale di Assiom Forex. Le pressioni a favore del no sono certo molto forti. Sulla questione è intervenuto anche il finanziere George Soros, affermando che una Scozia indipendente «sarebbe finanziariamente insostenibile» e ridurrebbe ai minimi termini «l’influenza della Scozia a Londra e quella della Gran Bretagna nel mondo». Ieri, comunque, i mercati sono stati calmi, probabilmente perché sono usciti dei sondaggi che davano la vittoria dei No: la borsa di Londra ha ceduto lo 0,4%, la sterlina è rimasta stabile sul dollaro a 1,6232 e il rendimento del Gilt è salito di 13 punti base al 2,504%. (riproduzione riservata)