Di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Proprio 40 anni fa partì il processo di soppressione delle mutue che per anni avevano garantito la cura della salute degli italiani. Tra queste la più famosa era l’Inam, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie. Ogni categoria di lavoratore aveva la propria cassa mutua che copriva le spese mediche e ospedaliere anche dei famigliari con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai datori di lavoro. 
L’assistenza delle mutue era però legata allo status di lavoratori e non di cittadini, con conseguenti casi di scopertura. Per questo alla fine degli anni 70, con la legge 833 del 1978, fu creato, in sostituzione del sistema delle mutue, il Servizio sanitario nazionale nato per garantire a tutti l’accesso alle cure.

Un modello universalistico che a distanza di oltre 30 anni è oggi in discussione. Fra tagli alla spesa pubblica e aumento della vita media, quello che era stato pensato come una sistema pubblico finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e i ticket sanitari è oggetto di una profonda revisione di spesa.

Peraltro, a dispetto di quello che comunemente si pensa, c’è da dire che in Italia per la sanità non si impiegano poi così tante risorse in più rispetto agli altri Paesi. Anzi. In base agli ultimi dati Ocse, con un rapporto spesa sanitaria-Pil del 9,2% l’Italia nel 2012 è al di sotto degli Usa, che sulla sanità nell’anno ha investito quasi il 18% del Pil. 
Ma l’Italia è sotto anche a diversi Paesi europei, come Olanda (11,8%), Francia (11,6%), Svizzera (11,4%) e Germania (11,3%). Per ogni persona, in Italia si pagano circa 200 euro in meno degli altri Paesi. Il settore pubblico è la principale fonte di finanziamento della sanità in quasi tutti i Paesi Ocse. Ma il problema è che in Italia queste risorse pubbliche sono spese male, di qui l’aumento dei ticket e la presenza di lunghe liste d’attesa che spingono sempre più italiani a rivolgersi al privato con costi maggiori. Non solo: l’incremento dei ticket può far sì che talvolta una cura a pagamento diretto costi meno di quella pubblica. «Il Ssn doveva essere universale e gratuito così come previsto dalla Legge 833 ma non è così, e per diversi motivi», dice Carlo Fiordaliso, segretario confederale Uil che ha dedicato un convegno nei giorni scorsi proprio alle nuove sfide nella sanità. «Bisogna quindi pensare a una soluzione alternativa, come l’assistenza integrativa, che non mini la presenza del Ssn, anzi lo rinforzi facendo confluire denaro fresco nelle casse delle Aziende sanitarie e alleggerendolo da ciò che le sta soffocando».

Secondo l’ultima indagine del Censis, attualmente la spesa sanitaria privata ammonta a 26,9 miliardi di euro e quella pubblica a 108,8 miliardi. 
Il problema è che dei quasi 27 miliardi di spesa sanitaria privata, circa l’80% del suo ammontare è pagata direttamente dai cittadini (out of pocket). «Nell’ultimo anno, causa la crisi in atto, più di 9 milioni di italiani dichiarano di non avere potuto accedere a prestazioni sanitarie di cui avevano bisogno per ragioni economiche. Sempre secondo il Censis il 71% degli italiani ha acquistato farmaci a prezzo pieno, oltre il 41% ha fatto visite odontoiatriche pagando di tasca propria, il 35% ha pagato le visite specialistiche e il 18,6% esami ambulatoriali», sottolinea Fiammetta Fabris di Unisalute. Per questo è arrivato il momento di riorganizzare il sistema sanitario pubblico.

 

«L’ammodernamento del Ssn è necessario, nell’interesse dei pazienti, ed è la cosa giusta da fare per garantirlo alle generazioni future. Bisogna passare dalle logiche frammentate di sussidi e benefici monetari a logiche che privilegino servizi possibilmente domiciliari», spiega Isabella Mastrobuoni, direttore generale dell’Asl di Frosinone. Che tra le proposte concrete per un nuovo piano sanitario nazionale ha lanciato l’idea «di promuovere l’adesione ai fondi da parte dei cittadini, piuttosto che aumentare i ticket». E qui entrano in gioco le coperture sanitarie integrative. «Puntare su prevenzione e sull’ausilio dell’assistenza sanitaria integrativa diviene la traiettoria necessaria da seguire per un Paese che vuole crescere e dirsi più giusto e competitivo», spiega Francesco Maria Gennaro del Dipartimento delle Politiche di cittadinanza e salute della Uil. Categorica la conclusione di Carmelo Barbagallo, segretario generale aggiunto Uil: «Un Paese che non offre prospettive è un Paese destinato a morire, noi dobbiamo impedirlo e dobbiamo lottare per garantire stabilità ai giovani e flessibilità agli anziani, che è esattamente il contrario di quello che sta facendo il Governo ora. Sanità e lavoro sono punti da difendere in ogni modo».

È evidente che l’incremento del fabbisogno assistenziale e della spesa conseguente non può essere affrontato solo con politiche di razionalizzazione dei costi ma, «per garantire la sostenibilità finanziaria dell’intero sistema dell’assistenza pubblica risulta necessario ripensare il sistema dell’offerta e di reperimento delle risorse e favorire lo sviluppo di forme di finanziamento aggiuntive e integrative rispetto a quelle pubbliche quali i fondi sanitari integrativi», aggiunge Fabris. (riproduzione riservata)