La previdenza complementare rappresenta in prospettiva un fondamentale sostegno economico per il futuro dei risparmiatori italiani. Lo hanno ricordato recentemente Inps e Ragioneria Generale dello Stato che da un lato hanno sottolineato come il nostro Paese rappresenti un esempio virtuoso in Europa per la sostenibilità finanziaria della spesa previdenziale, in considerazione delle recenti riforme, ma hanno anche ricordato come esistano dei pericoli di possibile inadeguatezza delle prestazioni. Più nello specifico, come evidenziato dall’Inps nel suo recentissimo bilancio annuale, i veri nodi da affrontare per rendere congrue le prestazioni previdenziali sono rappresentati dalla necessità di riavviare una crescita economica sostenuta e dal funzionamento del mercato del lavoro. Con riferimento all’andamento dell’economia viene rappresentata a titolo esemplificativo una simulazione secondo la quale, considerando una evoluzione da una crescita di lungo periodo dello 0,5% a un tasso dell’1,5% (valore stimato per il pil di lungo periodo), potrebbe determinarsi per un neo assunto un aumento della pensione obbligatoria attesa, calcolata con l’attuale contributivo, mediamente più elevata del 20% circa. Una crescita dell’economia più sostenuta si tradurrebbe allora in rendite proporzionalmente più elevate. Sul versante del mercato del lavoro può pesare poi molto la discontinuità dell’occupazione in assenza di adeguate tutele. A titolo di esempio, prosegue l’Inps, 5 anni di disoccupazione nei primi 10 anni del percorso lavorativo possono comportare due anni di lavoro in più a fine carriera, per recuperare lo stesso tasso di trasformazione associato a una vita lavorativa continua e regolare fin dall’inizio. Ben più pesante è la prospettiva per un lavoratore che, pur in presenza di ricorrenti periodi di precarietà nell’arco di tutta la sua carriera (per ritardi, discontinuità, periodi di disoccupazione), dovesse comunque riuscire a completare i 20 anni minimi di contribuzione necessari per maturare il diritto alla pensione. Lo conseguirebbe a 70 anni con un tasso di trasformazione che, molto probabilmente, lo collocherebbe nella fascia dei soggetti da tutelare con forme di tipo assistenziale. Diventa allora indispensabile il ruolo dei fondi pensione. Ipotizzando per esempio di destinare a forme di previdenza complementare il trattamento di fine rapporto, integrato fino a una contribuzione del 10,5% (di cui il 3,6% a carico del lavoratore e del datore di lavoro), il tasso di trasformazione lordo equivalente, per effetto della rendita aggiuntiva, potrebbe migliorare, prosegue il documento, dai 14 ai 19 punti, a fronte di rendimenti attesi lordi rispettivamente nell’ordine del 2-4%. Considerando però che il livello di diffusione è ancora particolarmente ridotto, come rimarcato dalla stessa Covip , è interessante capire il perché e cosa ne pensino i lavoratori. Molto utile a questo proposito è il recente Mid Term Report del Mefop. Attingendo allo studio emerge una situazione di crescente conoscenza delle principali novità relative alla previdenza pubblica che, tuttavia, non va al di là di alcune nozioni generiche. Andando però più in profondità si palesa una non piena consapevolezza degli effetti prodotti dal metodo di calcolo contributivo con una conseguente non chiara percezione della necessità di previdenza complementare, con conseguenze che, in prospettiva, potrebbero essere molto pesanti per quanto attiene ai profili di adeguatezza dei redditi per l’età avanzata. Una maggiore consapevolezza sarebbe fondamentale affinché si possano prendere le iniziative giuste per tutelarsi. (riproduzione riservata)