Adriano Bonafede

I n Piazza Affari c’è un piccolo mistero. Negli ultimi sei mesi le società di asset gathering – sostanzialmente le reti di promotori che raccolgono i prodotti del risparmio gestito – hanno tutte il segno meno in Borsa: dal meno 7 al meno 11 per cento. Queste società che pur avevano corso molto nei due anni precedenti – negli ultimi tempi non sembrano più così ben viste dal mercato. Eppure su tutte – da Banca Generali ad Azimut, da Mediolanum alle matricole Finecobank e Anima – ci sono adesso ottimi giudizi degli analisti che invitano perlopiù a comprare. Consigliano il “buy” il 50 per cento delle banche d’affari per Banca Generali, il 56 per cento sia per Azimut che per Mediolanum. Per Finecobank si sale all’80 per cento degli analisti che vedono rosa, mentre per l’ultima arrivata, Anima, la raccomandazione riguarda la totalità degli analisti, un evento più unico che raro. Come stanno le cose, quindi? Le spiegazioni sono tante. «La recente performance negativa spiega l’ultimo report sull’intero settore di Intermonte – è da mettere in relazione ai multipli», divenuti sempre più elevati, «mentre le azioni erano scambiate molto sopra le loro medie storiche » . Ma a far prendere un periodo di riflessione al mercato c’è stata anche la quotazione di Fineco e di Anima, «che hanno ampliato l’offerta di modelli di business alternativi e a valutazioni attraenti». L’offerta di azioni di società di asset gathering è diventata più ampia e di conseguenza gli investitori sono diventati più selettivi. A giudicare dai “buy”, sembrano Anima e Fineco, adesso, le più interessanti. Ma anche Azimut, forte di un tasso di crescita nella raccolta del 15-18 per cento annuo, è giudicata molto bene, soprattutto adesso che ha iniziato anche una diversificazione geografica in Turchia, Brasile, Cina e Messico. Gli analisti hanno guardato meglio all’interno di ciascun modello di business, e hanno scoperto che le società sono tutte diverse fra di loro e hanno pertanto differenti potenzialità di crescita. Banca Generali, ad esempio, è prima nella classifica Assoreti per raccolta gestita e portafoglio medio di promotore ed è quarta assoluta dietro a grandi gruppi bancari retail nella raccolta Assogestioni. Nel primo semestre del 2014 ha visto crescere la raccolta del 64 per cento, arrivando a 2.315 milioni. Ma, secondo gli analisti, c’è anche qualche punto di debolezza: ad esempio la società, che ha ovviamente una licenza bancaria come Mediolanum, ha chiesto alla Bce l’Ltro, che dovrà rimborsare nel febbraio 2015. In più, ha i depositi non remunerati dei correntisti: con un costo del funding praticamente uguale a zero, poteva investire questi soldi al 4 per cento in titoli di Stato, che però adesso sono scesi al 2. É chiaro che, essendo cambiate queste coordinate, il margine d’interesse sta andando giù. Mediolanum, dal canto suo, ha fatto carry trade con 10 miliardi, cui 3 tramite l’Ltro e 7 tramite l’interbancario. Questa liquidità è stata in parte investita in titoli di Stato italiani a un buon rendimento e in parte è stata trasferita ai clienti per offrire un’alta remunerazione sui conti correnti (anche il 4 per cento e oltre). Anche qui, però, le mutate condizioni del mercato e la necessità di restituire l’Ltro, produrranno effetti sul bilancio ma anche sulla capacità di acquisire nuovi clienti con elevati tassi di remunerazione dei conti. Su Fineco non pochi analisti sono positivi, attratti dalla diversificazione del modello di business e dalla piattaforma di trading con il più alto numero di eseguiti in Europa (22 milioni). «Ci troviamo di fronte a una società che ha un prodotto vincente, la piattaforma di trading che può attirare molti clienti anche nell’asset management», dice Gianluca Ferrari, equity analist di Mediobanca Securities. «Ma poi ci sono anche 2.500 promotori finanziari che fanno la loro raccolta. Inoltre, Fineco non calca la mano sulle performance fees come altri competitor fanno volentieri. E paga un tax rate tutto in Italia. Infine, è la prima società ad aver già introdotto la direttiva europea Rdr che consente al cliente di pagare una fee fissa per l’advisory ». Su Anima le valutazioni delle banche d’affari sono le più entusiastiche: il 100 per cento degli analisti che seguono il titolo opta per un consiglio di acquisto o una valutazione “outperform”. Il target price medio è di 5,34 euro. «La spiegazione di questo buon giudizio dice un analista – è presto spiegata. Anima utilizza la sola rete bancaria e non ne ha una di promotori. Ciò, in questo momento storico, è positivo, perché gli istituti di credito non hanno motivo di vendere altri prodotti oltre a quelli del risparmio gestito, come nel 2011 quando c’era crisi di liquidità. Questo spiega perché la raccolta dei primi otto mesi del 2014 abbia già quasi raddoppiato, con 6,2 miliardi, quella dell’intero 2013 (3,4 miliardi). In generale, l’ottimismo degli analisti su tutti questi titoli deriva anche da considerazioni generali. Il risparmio italiano – si legge in una ricerca di Mediobanca di qualche tempo fa – è allocato per il 60 per cento in immobili (un tasso ben più elevato che nel resto dell’Europa e degli Usa) e per il 40 in asset finanziari, nei quali certamente c’è un sovrappeso dei titoli di Stato italiani. Ma questi ultimi hanno ormai rendimenti infimi. Tutto ciò, oggettivamente, gioca a favore di chi raccoglie il risparmio gestito. Le cose potranno cambiare soltanto quando i tassi saliranno. Ma c’è tempo. 1 2 Qui sopra, Piermario Motta (1), ad di Banca Generali e Alessandro Foti (2), ad di Finecobank 1 2 Qui sopra, Pietro Giuliani (1), presidente di Azimut Holding e Ennio Doris (2). presidente di Mediolanum