di Simona D’Alessio  

In arrivo gli indennizzi per i nostri connazionali che contrassero gravi patologie, come l’Hiv, da trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti. A stabilirlo, ieri, la Corte europea dei diritti umani, che impone allo stato italiano di corrispondere a tutte le persone contagiate l’indennità integrativa speciale prevista dalla legge 210/1992.

Sentenza che, comunque, non sarà definitiva prima di tre mesi, lasciando questo lasso di tempo a disposizione del governo per chiedere la revisione del caso davanti alla Grande Camera dello stesso organismo di Strasburgo.

La vicenda parte dal ricorso riguardante 162 cittadini che si sono ammalati di Aids e di epatite B o C a seguito di trasfusioni di sangue o della somministrazione di prodotti emoderivati. Individui che, insieme ad altri migliaia che, nel tempo, si sono rivolti alla Corte di Strasburgo, fanno valere il diritto previsto dalla normativa vigente a un’indennità che deve essere rivalutata ogni anno, in base al tasso d’inflazione. Le autorità italiane non soltanto non hanno mai corrisposto tale rivalutazione annuale (che rappresenta la quota più consistente del risarcimento) ma, grazie a una norma contenuta in una precedente manovra finanziaria (122/2010) l’hanno abolita. Gli ammalati, pertanto, non hanno ricevuto le somme spettanti, sebbene in seguito una sentenza della Consulta (293/2011) abbia dato loro ragione, dichiarando incostituzionale il provvedimento legislativo del 2010.

Quest’ultimo testo finisce ora anche nel mirino di Strasburgo poiché, si legge nel pronunciamento di ieri, «lo stato italiano ha violato i diritti dei ricorrenti e di tutti coloro che si trovano nella loro stessa situazione»; varando la normativa del 2010, sostengono i giudici, il governo ha, infatti, inteso procurarsi un vantaggio economico nei processi intentati dai ricorrenti contro il mancato pagamento della rivalutazione dell’indennità. La portata di quanto disposto dai magistrati della Corte europea dei diritti dell’uomo assume sicuramente una portata storica. A confermarlo sono fonti della stessa Corte, secondo cui sono coinvolti adesso non soltanto i ricorrenti che hanno visto accolta la propria tesi risarcitoria, bensì tutti gli altri italiani che, a causa dello scandalo del sangue infetto, che si sviluppò negli anni 80 e 90, si trovano nelle medesime condizioni. In base alle elaborazioni fornite dall’Anadma, un’associazione che si occupa della tutela dei danneggiati, oltre 120 mila persone avrebbero richiesto i benefici della legge 210/1992, ma oltre il 40% delle domande sarebbe stato respinto. E, quindi, un dato ufficiale (e accertato) sulle vittime del sangue infetto non è ancora disponibile.