Debutto soft, ieri, per la tassa sulle transazioni finanziarie applicata anche ai derivati, ossia la seconda parte di quel pacchetto di imposte note come Tobin tax. La prima parte, la tassa sulle transazioni azionarie e quella sulle relative operazioni ad alta frequenza, è entrata in vigore, invece, a marzo scorso. Ora a essere colpite sono le operazioni in derivati e gli ordini cancellati e modificati, su questi strumenti, nei casi in cui siano considerati il risultato di un’operatività ad alta frequenza. In particolare la Tobin si applica a una serie di strumenti: dividend swap, credit default swaps, future su index dividend, derivati su azioni di società sottocapitalizzate, riacquisto di derivati cartolarizzati.

Una novità per il diritto tributario, visto che l’Italia è l’unico paese a tassare le transazioni finanziarie sugli strumenti derivati, ma che ha destato non poche critiche: le ripercussioni di questa imposta sul mondo della finanza italiana sono, infatti, imprevedibili, considerato anche che la Borsa di Milano fatica già ad attrarre investitori internazionali, ma soprattutto perché il gettito, inizialmente stimato in almeno 1 miliardo, potrebbe essere ben più limitato (si parla di 200-250 milioni).

Da registrare, tuttavia, almeno ieri, un impatto soft sugli scambi: il calo dell’operatività sui prodotti neo tassati, infatti, c’è stato ma è difficile attribuirlo unicamente all’introduzione della tassa. A pesare c’è stata anche la chiusura di Wall Street in un giorno in prossimità del week end. Certo è che a metà mattinata il principale contratto derivato quotato soffriva più degli analoghi prodotti europei, come quelli tedeschi per esempio. Oggi a questo punto non ci saranno alibi.