di Roberta Castellarin e Paola Valentini 

Il conto più salato della grande recessione iniziata nel 2008 in Italia lo hanno pagato le future pensioni. Nel 2011, quando il Paese era messo a rischio dalla crescente tensione sui titoli di Stato, il governo guidato da Mario Monti ha varato un decreto Salva-Italia che ha introdotto una stretta alla previdenza pubblica, introducendo il sistema contributivo pro rata e allungando l’età pensionabile. Tra il 2012 e il 2021 la riforma Fornero consentirà 80 miliardi di risparmi rispetto alle normative precedenti tenendo conto dei costi delle salvaguardie. Lo si legge in un Rapporto dell’area attuariale dell’Inps, secondo il quale «la spesa subisce una notevole contrazione che nel 2019 è di oltre un punto di pil». I risparmi si azzereranno nel 2045. Nel grafico contenuto nel Rapporto (con proiezioni fino al 2050 sulla spesa pensionistica) si evidenzia come la riforma Fornero sia quella che dà maggiori risparmi a breve con il picco negativo per la spesa nel 2019 (poco sopra l’8,6% del pil). Poi la spesa risale restando al di sotto di quella prevista con le riforme precedenti (e quindi ulteriori risparmi oltre gli 80 miliardi stimati nel decennio 2012-2021) fino al 2045, quando incrocia e supera le curve delle altre riforme per spesa in termini di percentuale sul pil (poco sotto il 10,5%).

 

La crisi ha invece risparmiato la previdenza complementare che non ha subito rincari nella sua tassazione agevolata. Proprio i fondi pensione infatti sono esenti dalla Tobin Tax e non hanno visto salire l’aliquota della tassazione sul capital gain al 20%, come è invece accaduto per gli altri investimenti finanziari. Una scelta dettata probabilmente dal fatto che la nuova riforma, ancora più dura delle precedenti, rende più difficile poter contare su una pensione pubblica decorosa. Proprio questo è stato lo spirito che ha animato la prima di tutte le riforme delle pensioni, quella firmata da Dini, che aveva introdotto per prima il metodo di calcolo contributivo, ma solo per chi ha iniziato a lavorare nel 1996, contando sul fatto che questi giovani avrebbero avuto più tempo per costruirsi una scorta con i fondi pensione. Poi però è arrivata la crisi, il cui prezzo i futuri pensionati lo pagano due volte, visto che il loro montante contributivo è rivalutato in base al tasso di crescita del pil. Una spada di Damocle non da poco, considerando che uno studio del fondo pensione negoziale Fondenergia ha calcolato che per ogni punto percentuale di variazione del pil il tasso di sostituzione del primo pilastro (ovvero la percentuale dell’ultimo stipendio che si percepirà come pensione) cambia in media di 8 punti percentuali. Il dato non è rassicurante, visto che le ultime stime indicano per quest’anno un pil in calo del 1,7%. E questo calo arriva dopo un decennio difficile per l’economia italiana, che nel biennio 2008-2009 già aveva vissuto una profonda recessione. La bassa crescita economica ha poi anche un effetto sugli stipendi, che restano al palo e quindi fossilizzano i contributi versati. Come ha ricordato più volte Alberto Brambilla, curatore della Giornata nazionale della previdenza complementare, senza sviluppo avremo prima lavoratori pagati poco e poi pensionati deboli.

Nel resto d’Europa invece si è agito anche sulla tassazione della previdenza complementare per risanare i conti pubblici. Come ha messo in evidenza uno studio di Mefop, che confronta proprio le diverse misure adotta dai diversi partner europei. «In molti Paesi Ue le misure di austerity in materia di finanza pubblica hanno riguardato anche le agevolazioni fiscali di cui beneficia la previdenza complementare. Nei Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria del 2008, inoltre, gli asset dei fondi pensione sono stati distratti dalla loro finalità istituzionale per essere utilizzati nei salvataggi bancari o statali», sottolinea Antonello Motroni di Mefop. Nel Regno Unito dal 2014 la deduzione fiscale dei contributi per l’intera carriera lavorativa (Lifetime Allowance) si ridurrà a 1,25 milioni di sterline, mentre la deduzione annuale (Annual Allowance) sarà portata a 40 mila sterline. «Giova ricordare che nel 2010 la Lifetime Allowance è stata portata da 1,8 a 1,5 milioni di sterline e che nel 2011 l’Annual Allowance è stata abbassata da 255 mila a 50 mila sterline», aggiunge Motroni.

 

In Francia la tassazione dei fondi pensione si è costantemente accresciuta negli ultimi anni: nel 2012 il Forfait Social, un’imposta speciale sulla contribuzione datoriale ai fondi pensione, è stato aumentato dal 2 al 20%. In Spagna le imposte sui redditi, incluse le prestazioni di previdenza integrativa di secondo e terzo pilastro, sono assoggettate, per il biennio 2012-2013, a un’addizionale compresa tra lo 0,75 e il 7%. Sempre per lo stesso periodo il governo ha sospeso il pagamento della contribuzione datoriale ai fondi pensione dei dipendenti pubblici e dei lavoratori delle aziende statali. Da ultimo, si sta valutando l’introduzione di un’imposta sui premi dei piani pensionistici assicurativi eccedenti i 100 mila euro. In Austria il governo ha dimezzato il sussidio pubblico a favore dei fondi pensione, portandolo al 4,25% dal 2012. Infine, anche i governi di Svezia e Paesi Bassi hanno annunciato la revisione dei generosi regimi fiscali degli schemi di secondo e terzo pilastro. In particolare, il governo olandese vorrebbe concentrare le misure di stimolo fiscale sui redditi più bassi, escludendo dagli incentivi quelli eccedenti i 100 mila euro. Situazioni analoghe si registrano in Finlandia, Islanda, Portogallo e Romania. In Irlanda, a seguito del default nel 2008, il governo ha introdotto un prelievo annuale dello 0,6% sul patrimonio dei fondi pensione, che dovrebbe decadere nel 2014. Nel 2009, inoltre, sono stati nazionalizzati asset previdenziali privati per 2 miliardi di euro, destinandoli al salvataggio del sistema bancario fallito nel 2008. Anche in Austria gli attivi dei fondi pensione sono stati utilizzati per i bail-out di alcune banche particolarmente rilevanti. Nel 2011 l’Ungheria ha nazionalizzato i fondi pensione per evitare il fallimento dello stato. Ed è cronaca recente il caso della Polonia, che ha preso una decisione simile (si veda box in pagina).

 

«Nel generale quadro di austerity risalta positivamente l’Italia che, pur alle prese con rilevanti problemi di finanza pubblica, è riuscita a mantenere inalterato il regime di favore fiscale accordato ai fondi pensione», conclude Moltroni. Tanto più che i fondi pensione si candidano a diventare il polo di riferimento del nuovo welfare, un fronte dove è adesso necessario intervenire perché le nuove generazioni non avranno sempre più bisogno soltanto di una rendita previdenziale di scorta, ma anche di una stampella nel campo della sanità e dell’assistenza. A questo proposito gli attuari hanno chiesto al ministro del Lavoro Enrico Giovannini di aprire un tavolo che coinvolga anche le casse previdenziali professionali e tutto il mondo dei fondi pensione e dei fondi sanitari integrativi per individuare per l’Italia un nuovo welfare, allargato e coordinato con il mondo del lavoro. «Non può esistere un welfare che si muove contro il lavoro, un welfare fine a se stesso che finisce per impoverire il lavoro», ha spiegato Claudio Genovesi, presidente del fondo negoziale Prevaer (trasporto aereo) che ha dedicato un convegno proprio al ruolo sociale e finanziario della previdenza complementare.

Secondo gli attuari, è paradossale che proprio l’Italia, che registra una popolazione tra le più longeve al mondo, non abbia ancora affrontato con decisione l’allarme welfare. «Le soluzioni possono essere molteplici e le stesse casse previdenziali professionali, nonché tutti i fondi pensione e i fondi sanitari integrativi, dovrebbero esserne parte attiva», spiega Giampaolo Crenca, presidente del consiglio nazionale degli attuari. «Su tali temi abbiamo già scritto al ministro Giovannini chiedendo l’apertura di un tavolo allargato. Gli attuari sono pronti da subito a dare il loro contributo». (riproduzione riservata)