Pagina a cura di Ignazio Marino   

Ci sono notai che dal 2006 ad oggi hanno visto praticamente dimezzare il loro reddito medio. E ci sono avvocati che hanno assistito a un ritorno dei loro guadagni ai livelli del 1990, anche se nel frattempo la ricchezza prodotta dalla categoria è aumentata di sei volte. E che dire di ingegneri e architetti? Guadagnavano di più nel 2001, rispetto a oggi. È questo il conto che la crisi economica di questi ultimi anni sta presentando alle categorie professionali i cui redditi medi in certi casi sono pure cresciuti, anche se di poco, ma in altri sono calati di botto.

In base al primo rapporto Adepp (l’associazione degli enti dei professionisti) sulla previdenza privata del 2013, il trend più negativo riguarda le professioni dell’area giuridica e di quella tecnica. Ma i dati si fermano al 2010. ItaliaOggi Sette ha passato in rassegna i volumi degli ultimi dieci anni delle professioni più colpite. E così si scopre che non è tutta colpa della crisi economica che nel 2012 ha fatto crollare di un altro 2,4% il prodotto interno lordo.

 

Liberalizzazioni e non solo. A pesare sull’impoverimento generale di chi esercita attività intellettuali regolamentate, sono la crescita senza controllo degli iscritti agli albi (passati secondo il Censis nel complesso da poco più di un milione nel 1998 a oltre 2 milioni nel 2010, contribuendo al 15% circa del pil) e le liberalizzazioni degli ultimi cinque anni che quando non si sono occupate di tariffe si sono interessate alle competenze, in certi casi eliminando le esclusive (dei notai) e in altri mettendo a portata di più soggetti attività tipiche delle professioni ordinate dell’area tecnica. Un caso per tutti: la certificazione energetica.

Di sicuro nessun intervento normativo ha migliorato le condizioni del comparto delle libere professioni. Emblematico il caso dei notai. In piena recessione economica e con un mercato immobiliare fermo a dicembre 2009, è stato disposto un primo aumento di 467 nuove sedi notarili, passando da 5.312 a 5.779. E a gennaio 2012 con il dl Liberalizzazioni, sono stati previsti 500 nuovi posti da aggiungere ai 5.779 già esistenti. In totale oggi sono previste 6.229 sedi notarili entro il 2016. Una fretta di immettere più notai sul mercato per gestire la metà delle compravendite del 2006 che non ha fatto il paio in questi anni con la velocità dei concorsi pubblici. Si stanno, infatti, concludendo le procedure relative al concorso per 200 posti indetto con decreto dirigenziale 27 dicembre 2010. Sono, inoltre, in fase di svolgimento tre concorsi per la nomina a 200, 150 e 250 posti banditi, rispettivamente nel 2010, 2011, 2013 per complessivi 600 nuovi posti da notaio.

 

I protagonisti politici. Due, senza dubbio, gli attori principali della stagione liberalizzatrice delle professioni. Il primo è sicuramente Pierluigi Bersani, già ministro dello sviluppo economico dal 2006 al 2008 con il governo guidato dal premier Romano Prodi. Sue le prime lenzuolate (legge 248/2006) che hanno cancellato l’inderogabilità delle tariffe minime e i divieti di costituire società tra professionisti e di farsi pubblicità. Il tutto in nome di una concorrenza di cui ancora si aspettano i risultati, visto che la crisi è davanti gli occhi di tutti. Senza considerare la giungla venutasi a creare negli appalti pubblici. La mancanza di riferimenti tariffari vincolanti nella progettazione e nell’esecuzione delle opere, ha permesso ribassi nelle offerte anche dell’80% da parte di grandi società che gradualmente hanno espulso ingegneri e architetti dai bandi. Per l’Europa è tuttavia ancora poco. Così il premier Silvio Berlusconi nel 2009 ha iniziato a mettere mano a nuove misure (come la revisione della pianta organica dei notai). Ma sarà il suo successore Mario Monti, incalzato dall’Ue che accusa l’Italia di non voler fare riforme strutturali, a portare a casa nuove liberalizzazioni nel 2012 per rilanciare l’economia che anche in questo caso non hanno prodotto l’effetto preventivato per i cittadini e nemmeno per i futuri professionisti.

L’atto finale di questa vicenda è il dpr 137/2012 che attua la riforma degli ordinamenti professionali, a norma del decreto legge 138/2011 convertito nella legge 148/2011. Una riforma che riforma poco.

Il regolamento fissa, per esempio, il principio della separazione tra organi disciplinari e amministrativi nell’autogoverno degli ordini. Altra novità è l’obbligo per il professionista di dotarsi di una polizza assicurativa per l’esercizio dell’attività e della formazione continua (che già si faceva).

C’è poi il capitolo pubblicità, che era già stata sdoganata dal decreto Bersani del 2006. Il dpr Severino non fa altro che rafforzare il concetto, regolamentando la libertà di pubblicità informativa relativa all’attività professionale, purché «funzionale all’oggetto», veritiera e corretta. In caso di violazione si allarga il ventaglio delle sanzioni: oltre all’illecito disciplinare si rischia, infatti, di violare anche le norme del codice del consumo e della pubblicità ingannevole in attuazione di una direttiva comunitaria. Il tirocinio, infine, non potrà superare i 18 mesi. Insomma misure che con la crescita economica hanno avuto poco a che fare.