di Paola Valentini

Non solo le pensioni d’oro, ma anche quelle d’argento e di bronzo dovrebbero contribuire per aiutare i giovani che hanno ereditato dai padri un debito pubblico pesante come un macigno. Per avere maggiore equità tra generazioni infatti è necessario che chi ha ricevuto dallo Stato una pensione non giustificata dai contributi versati faccia ora la propria parte per trasferire alle nuove generazioni risorse necessarie a costruire un futuro meno povero di quello che si prospetta se non si interviene al più presto sui conti dello Stato.

Il problema di equità tra generazioni si pone perché oggi quasi il 90% delle pensioni pagate dallo Stato è calcolato con il generoso metodo retributivo che si basa sulla media degli ultimi anni di stipendio (in genere dieci), a prescindere dai contributi effettivamente versati durante la vita del lavoratore. La riforma Fornero ha sanato in ritardo questa situazione introducendo il metodo contributivo per tutti i lavoratori a partire dal 2012. Un intervento che non tocca chi è andato in pensione, ma interviene su quei lavoratori ancora in attività ai quali si applica ancora il retributivo. Si tratta di quelle persone che al 1° gennaio 1996 avevano accumulato più di 18 anni di contributi, ovvero a chi ha iniziato a lavorare e versare contributi prima del 1978. Lavoratori che attualmente hanno più di 50 anni.

Chi invece nel gennaio 1996 aveva meno di 18 anni di contributi ha la pensione calcolata fino a quella data con il retributivo e poi passa al contributivo. Per i neoassunti a partire dal 1996 non c’è scampo: il loro assegno dipenderà da quanto hanno effettivamente versato. E la pensione dei loro padri, che arriva fino all’80% dell’ultimo stipendio, è un miraggio.

 

Resta il fatto che chi è andato in pensione con il retributivo pieno oggi riceve un regalo che non è più giustificabile alla luce della crisi che ha colpito l’economia italiana su cui pende la spada di Damocle di un debito pubblico da 2 mila miliardi. Senza dimenticare che, secondo le stime Inps, le pensioni calcolate in base al retributivo puro, nonostante la correzione della legge Fornero, incideranno ancora molto sui conti pubblici perché saranno ancora il 66% del totale nel 2025 e il 36% dieci anni dopo. Non a caso sono allo studio diverse proposte per sanare questa situazione. Nel mirino sono finite le pensioni d’oro, ovvero quei maxi-assegni che lo Stato eroga ogni mese. Attualmente nella fascia di pensioni superiori ai 4 mila euro lordi mensili ci sono quasi 105 mila persone e rappresentano per lo Stato una spesa di 13 miliardi l’anno, con il caso limite dei 90 mila euro al mese che l’Inps corrisponde a Mario Sentinelli, ex dirigente Telecom. Il governo Monti aveva introdotto un prelievo tra il 5 e il 15% (in base all’importo) sugli assegni superiori a 90 mila euro l’anno. Ma la Corte Costituzionale ha di recente bocciato questo provvedimento perché ritenuto un prelievo tributario che discrimina una sola categoria di contribuenti, ovvero i pensionati d’oro.

La bocciatura ha fatto levare un coro di proteste. In effetti però, come sostiene anche il senatore Pietro Ichino, il problema non sono le pensioni d’oro in sé. Il nodo è piuttosto capire se queste rendite sono prodotte da contributi effettivamente versati oppure no. Un conto, come dice Ichino, è infatti un manager che per 30 anni ha guadagnato 1 milione l’anno e quindi ha versato 330 mila euro l’anno di contributi e ora si vede assegnare una pensione parametrata a questi numeri. Altro conto è invece il lavoratore che ha guadagnato 1 milione soltanto negli ultimi dieci anni di carriera e si vede calcolare l’assegno in base allo stipendio di questo periodo. È il caso, questo, dei lavoratori che ricadono nel retributivo. E che in molti casi ricevono assegni non coperti totalmente dai contributi versati. Ecco perché la proposta di Ichino prevede un prelievo soltanto sulla parte di pensione non effettivamente guadagnata e quindi in un certo senso regalata dallo Stato.

 

Ma fermarsi alle pensioni d’oro non sarebbe equo. Perché del generoso metodo di calcolo retributivo non hanno beneficiato soltanto i lavoratori con maxi-stipendi, ma tutti i cittadini. Nel 2001 la commissione sulla spesa previdenziale allora presieduta da Alberto Brambilla aveva calcolato (in base alle attese di vita di allora, 25 anni) per un lavoratore in attività per 35 anni quanti anni di pensione sono coperti da contributi versati e quanti invece sono scoperti rappresentando regalo da parte dello Stato grazie al retributivo (si veda grafico in pagina). I risultati? Un dipendente attivo tra il 1970 e il 2005 che è andato in pensione a 58 anni avrebbe avuto 17 anni coperti dai contributi e 8 scoperti, un dipendente pubblico addirittura 10 regalati, un artigiano o un commerciante quasi 20 anni. Non solo; del retributivo hanno beneficiato anche quei pensionati che grazie alle maggiorazioni sociali e all’integrazione al minimo hanno ottenuto assegni senza, in certi casi, aver versato nemmeno un euro di contributi. Nel metodo contributivo, al contrario, non sono previsti interventi a carico dello Stato per integrare le pensioni. Attualmente sono 4,5 milioni le pensioni che ricevono un’integrazione fino al minimo di 495 euro (nel 2013) e lo Stato spende per fare ciò una quindicina di miliardi l’anno.

 

«Pensare di gravare solo sulle pensioni di un certo importo è demagogico e fuorviante. Si rischia che la Corte Costituzionale bocci di nuovo il provvedimento. Per questo penso che gran parte delle proposte presentate nelle ultime settimane, che prevedono prelievi sulle pensioni più alte, siano demagogiche. Su 16,7 milioni di pensionati ci sono 7 milioni di persone i cui assegni sono pagati in tutto o in parte dallo Stato. Questo perché in 65 anni di vita questi pensionati non sono riusciti a mettere da parte 15 anni di contribuzione piena e pertanto, siccome la loro pensione è bassa, lo Stato la integra con le maggiorazioni sociali e l’integrazione al minimo», spiega Alberto Brambilla, ex sottosegretario al Welfare e oggi coordinatore del comitato scientifico di Itinerari Previdenziali. Il ragionamento di Brambilla è proprio questo: «Tutti dovremmo essere uguali di fronte al fisco, ci vuole quindi un prelievo progressivo su tutte le pensioni sapendo che tutte incorporano un vantaggio dovuto al sistema retributivo». Per Brambilla si potrebbe partire da aliquote di prelievo più basse per chi prende meno, ad esempio lo 0,5% per il pensionato che percepisce fino a 500 euro (2,5 euro al mese). Man mano che l’importo dell’assegno aumenta, aumenterebbe anche l’aliquota; per esempio, sopra i 15 mila euro sarebbe accettabile anche un prelievo del 10%. «Ricordiamo inoltre che chi prende 15 mila euro al mese ne paga la metà di tasse, mentre chi ne ha 500 non paga tasse», aggiunge Brambilla, sottolineando che «i 7 miliardi che si possono recuperare ogni anno da un intervento del genere possono andare ad abbattere il debito pubblico e così nei prossimi 15 anni i giovani avranno 100 miliardi in più. Se vogliamo fare un buon servizio ai giovani, facciamo pagare tutti i lavoratori del retributivo perché di questo sistema non ne ha beneficiato soltanto chi riceve pensioni d’oro, ma anche chi ha ottenuto la pensione integrata dallo Stato». (riproduzione riservata)