Massimo Giannni

Non ci sono solo gli scheletri di Telecom e di Alitalia, nell’armadio della cattiva coscienza nazionale. Ce n’è un altro, in prospettiva persino più inquietante, che l’establishment politico e finanziario fa finta di non vedere. È lo scheletro preistorico delle banche. Anche qui, non c’è nulla di ignoto o di inedito. Alzi la mano chi non sa che Montepaschi – con una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi imposta da Almunia, un piano industriale temerario e un’inchiesta giudiziaria devastante – non riuscirà a rimborsare i Monti bond e sarà costretto a ricorrere alle cure dello Stato Padrone e Pantalone. «Il Monte e lo Stato, la fine è nota», titolavamo su questo giornale il 3 dicembre 2012, prevedendo la nazionalizzazione del più antico istituto di credito del Paese, in rosso per 1,6 miliardi e in debito di 3,9 miliardi di obbligazioni pubbliche. Alzi la mano chi non sa che Intesa – pallida ombra della velleitaria «banca di sistema» che pensava di essere, schiacciata da una montagna di crediti incagliati a partire dagli 800 milioni regalati all’amico Zaleski e squassata da una guerra intestina per la governance – è oggi allo stremo e dunque alla vigilia di un clamoroso ribaltone. «Cercasi Intesa, dov’è finita la banca di sistema», titolavamo su questo giornale il 15 aprile 2013, raccontando la crisi del primo istituto di credito del Paese, in rotta sulla «banca dei territori» e in lotta tra il padre nobile Bazoli e il figlio degenere Cucchiani. Parlavamo allora di «evanescenza della leadership», e dunque di smarrimento della «mission». Esattamente quello che a Milano ti dicevano persino i barman dei Navigli, e che oggi costa giustamente la poltrona all’amministratore delegato. Alzi la mano chi non sa che oltre a Mps e Intesa (passando per Carige e Bpm) l’intero sistema bancario è zavorrato da 140 miliardi di crediti andati a male, e per questo riduce i fidi alle imprese e i mutui alle famiglie al ritmo del 3,5% l’anno. Alzi la mano chi non sa che, anche a causa di criteri contabili suicidi imposti dalla Banca d’Italia in aggiunta a quelli già micidiali dell’Eba, l’incidenza delle partite deteriorate sul totale dei crediti ha raggiunto il livello di guardia del 12,4%. Alzi la mano chi non sa che dei 70 miliardi di capitali, necessari al sistema creditizo Ue secondo il Comitato di Basilea, buona parte è imputabile proprio alle banche tricolori. E alzi la mano chi non sa che secondo il Fondo Monetario, per quanto aizzato dal cerbero Larry Summers, le banche italiane avrebbero bisogno di una ripatrimonializzazione di quasi 100 miliardi, della quale solo per carità di patria non si è fatta menzione nell’ultimo report di venerdì scorso. Di nuovo: tutti sanno tutto. Ma chi ha il coraggio di aprire quell’armadio, e di provare a ricomporre le ossa del tirannosauro? m.giannini@repubblica.it