L’enigma del nuovo meccanismo di adeguata verifica sembrerebbe rivelato. L’estate ha portato con sé i chiarimenti del ministero dell’Economia (nota del 30/7/13), nonché il provvedimento dell’Unità di Informazione Finanziaria con cui è stata data attuazione all’art. 23 comma 1-bis del decreto 231/07. Si tratta della norma che impone all’intermediario, in caso di impossibilità di eseguire l’adeguata verifica del cliente, di restituire a quest’ultimo fondi, strumenti e altre disponibilità finanziarie liquidandone il relativo importo tramite bonifico su un conto indicato dal cliente stesso, recante la causale di impossibilità di verifica. Il Mef ha ora ristretto l’ambito di applicazione della norma ai soli rapporti intermediario-cliente che presentano saldi attivi. Precisazione per nulla scontata o banale e invece opportuna, poiché esenta un’importante fetta di rapporti, quali ad esempio i contratti di finanziamento, mutuo o leasing, la cui forzata chiusura anticipata sarebbe stata difficoltosa e penalizzante per l’intermediario. La procedura si basa su una prima fase di «interlocuzione preliminare»: l’intermediario deve invitare il cliente a fornire entro un termine ragionevole le informazioni o la documentazione mancante. La previsione non brilla per precisione: la mancata indicazione di un termine certo spiana la strada a contestazioni sulla «ragionevolezza» del termine assegnato.

Per cautelarsi, l’intermediario dovrebbe optare per un termine non inferiore ai 30 giorni indicandolo nel questionario antiriciclaggio che dovrà chiaramente rappresentare le conseguenze derivanti dall’impossibilità di eseguire l’adeguata verifica. Conseguenze che comportano il temporaneo blocco del rapporto per 60 giorni e la sua successiva chiusura. Infatti, nel caso in cui l’intermediario, nonostante la richiesta di dati e trascorso il termine «ragionevole», si trovi nell’impossibilità di adempiere agli obblighi di adeguata verifica, dovrà darne comunicazione al cliente, facendo presente il proprio obbligo di astensione, e richiedere le coordinate di un conto sul quale trasferire i saldi attivi del rapporto. Onde evitare il paradosso insito nella norma, cioè il rischio che l’espulsione del cliente ne agevoli la fuga verso lidi incontrollati, il Mef ha previsto che il conto terzo dovrà essere aperto solo presso un intermediario nazionale, comunitario o soggetto a regime equivalente. In difetto di attivazione, i saldi attivi verranno trattenuti e le relative disponibilità versate su un conto infruttifero. Durante i 60 giorni di congelamento, l’intermediario darà corso alle sole operazioni necessarie all’adempimento di obbligazioni assunte dal cliente ovvero addebiti/accrediti disposti in via continuativa prima del blocco, quali ad esempio i Rid per il pagamento delle utenze. Viceversa il cliente sarà tenuto a restituire immediatamente eventuali assegni nella sua disponibilità, pena segnalazione alla Centrale di Allarme Interbancaria. Si tratta di procedure piuttosto articolate di cui l’intermediario dovrà tenere traccia scritta.

Ultima precisazione. Il Mef ha specificato che il trasferimento dei fondi e la successiva chiusura del rapporto non deve necessariamente far scattare la segnalazione all’Uif, né indurre il cliente a ritenere che ciò possa accadere: regola questa alquanto discutibile. Va da sé che nella segnalazione di operazione sospetta, pur inserendosi in più complesso processo valutativo, la mancata comunicazione necessaria per l’adeguata verifica non potrà non giocare un ruolo determinante. La partita è tutt’altro che chiusa.

Roberto Pavia