Il governo di Varsavia guidato da Donald Tusk ha rivelato un volto inaspettato procedendo alla nazionalizzazione dei fondi pensione in Polonia. L’operazione verrà perfezionata con il trasferimento nelle casse dello Stato delle obbligazioni detenute dai fondi pensione coperti da garanzia pubblica, in particolare titoli di Stato, per un ammontare superiore a 40 miliardi di euro. La Polonia segue Argentina e Ungheria sulla strada della nazionalizzazione e anche Cipro ne discute con il parere negativo espresso però dal cancelliere tedesco Angela Merkel. In Italia, nonostante il debito pubblico elevato, finora la strada è stata quella di difendere il principio della diversificazione del rischio previdenziale su cui si struttura il sistema pensionistico. L’anello conclusivo del processo di riforme che si sono succedute in Italia è costituito infatti dalla previsione dell’architettura a pilastri. Il tenore di vita postpensionamento viene cioè affidato, oltre che al trattamento di quiescenza erogato dalla previdenza di base, al sostegno di una o più stampelle private, la previdenza integrativa. L’obiettivo fondamentale del sistema nel suo complesso sta nell’assicurare a tutti gli individui, al termine dell’attività lavorativa, mezzi adeguati ai bisogni. Il rischio previdenziale nel suo insieme può quindi essere inteso come l’eventualità del mancato raggiungimento di tale obiettivo; sia la componente obbligatoria del sistema pensionistico sia quella complementare non sono infatti esenti da rischi. Il sistema pubblico è finanziato a ripartizione ed eroga le prestazioni secondo il regime della contribuzione definita. Il montante accumulato è rivalutato in base alla media mobile quinquennale del tasso di crescita del prodotto interno lordo e al momento del pensionamento viene convertito in una rendita vitalizia il cui ammontare dipende dall’evoluzione della longevità. Nel caso della previdenza complementare il rischio assume connotati diversi a seconda delle caratteristiche del piano previdenziale. (riproduzione riservata)