Di Francesco Priore

La consulenza finanziaria durante le crisi dovrebbe crescere esponenzialmente, ma ciò non si è notato. La consulenza fee only è ferma al palo, quella erogata dalle reti ha raggiunto il 2% dei clienti, 50/70 mila persone. Il mercato del risparmio gestito, dominio virtuale della consulenza, è stato caratterizzato da tre eventi: l’alta volatilità, l’inadeguatezza di molti gestori e la riduzione delle commissioni. Le imprese avrebbero dovuto selezionare gestori più capaci e realizzare strumenti più efficaci, tali da creare valore aggiunto per i clienti, i Pf e gli azionisti. L’industria ha trascurato il core business e ha preferito la distribuzione di servizi accessori; così ha perso identità e connotazione specialistica, confondendosi con il sistema bancario e assicurativo. La domanda di servizi di risparmio gestito è calata e non trovando prodotti domestici adeguati si è rivolta verso l’offerta estera. È una storia che ricalca quella dell’industria automobilistica. L’inefficienza domestica e la perdita di know how hanno regalato quote di mercato e utili alle imprese straniere. La diffusione dei prodotti esteri è stata favorita dal multimarche, cioè la possibilità per tutti di collocare tutto. Questa scelta ha annullato le differenze tra le reti e la competitività basata sull’offerta concorrenziale di prodotti nuovi e migliori. Si è passati dalle boutique monomarca alla grande distribuzione, solo come modello però perché come quota il settore è rimasto inchiodato al 6% del mercato. I Pf hanno vissuto questa novità come un vantaggio, la possibilità di poter offrire, senza conflitti d’interesse e in totale autonomia, i prodotti di tutti e certamente lo è stato quando i prodotti della casa lasciavano a desiderare. L’altra faccia della medaglia però è la responsabilità personale che il Pf si assume e il rischio delle perdite e degli eventuali danni derivanti dalle sue scelte. Il pericolo per il Pf cresce se il rapporto è gestito online, perché mentre in un dialogo si possono affrontare tutti gli aspetti di un investimento prima di approdare a una scelta, nella relazione virtuale restano solo le proposte inviate online e validate dal cliente, sono solo documenti scritti, incontrovertibili, impugnabili se non si può documentare di aver rispettato la Mifid. Il cliente se deluso o per qualunque ragione può, ove le piattaforme lo consentono, liquidare tutto online, senza nemmeno informare il Pf. La responsabilità della gestione degli asset deve rimanere ai gestori e quella del cliente al Pf. Questi, individuate le reali esigenze del cliente, deve usare le indicazioni dei gestori per la scelta dei prodotti e poi monitorare la coerenza delle indicazioni con gli obiettivi da raggiungere. I prodotti possono essere indifferentemente fondi della casa, fondi di fondi, fondi multibrand o un mix degli stessi. Un ultimo svantaggio per i Pf è che non possono più lamentarsi delle performance dei gestori, perché sono gli unici responsabili delle scelte. Le mandanti hanno tirato un respiro di sollievo, ma visto il costo forse non ne valeva la pena. I Pf, percepiti i rischi, hanno orientato le scelte del gestito verso l’obbligazionario e spostato parte delle risorse dei clienti verso l’amministrato in titoli di Stato. Quest’orientamento ha ridotto drasticamente i guadagni dei Pf, ma non altrettanto i rischi per i clienti. Oggi investimenti risk free non esistono più, quelli sicuri come il bund oggi garantiscono una perdita del 2% annuo, a tasso d’inflazione costante. Il cambio di strategia distributiva e conseguente riduzione dei ricavi ha costretto alla resa tante reti, nonostante gli investimenti in tecnologia, i super ingaggi per i Pf o la vendita di prodotti carissimi. Agli ingaggi troppo elevati non sopravvive alcuna rete, ai ricarichi smodati non resiste alcun cliente, quando e se i clienti recuperano il capitale spariscono definitivamente e il Pf ha poche chance residue. La domanda di consulenza finanziaria è direttamente proporzionale al livello di cultura finanziaria. Infatti, il risparmiatore italiano, per livello di educazione finanziaria al 44° posto sui primi 59 Paesi sviluppati, sarebbe dovuto ricorrere più di altri alle cure di un professionista. Ma il numero dei clienti invece non è cresciuto. Una persona che ha poche cognizioni in una materia non suppone l’esistenza di un professionista specifico, continua a rivolgersi ai canali tradizionali o, i più avidi, agli stregoni che promettono miracoli. La maggioranza dei risparmiatori trentacinque anni fa non aveva nemmeno il c/c. Solo quello che sembrò un miracolo, i Bot con un rendimento a due cifre, fece spostare un’enorme quantità di contanti dai nascondigli privati alle casse del Tesoro. Il mercato finanziario italiano è nato allora. Le istituzioni non si sono mai premurate di impartire l’educazione finanziaria. Oggi se ne parla ed enti pubblici e privati sono attivi, ma l’educazione è un investimento a lunghissimo termine, non risolve il problema delle generazioni odierne. L’educazione finanziaria non abilita le persone a gestirsi da sole, le mette in condizione di capire se la persona cui si è affidata sta operando in maniera professionale. La mission delle imprese, la produzione e la distribuzione consulenziata di servizi di risparmio gestito, è stata negletta. Un settore che dal 1990 ai primi anni 2000 era cresciuto, anche in immagine, per la capacità d’innovazione e di diffusione sino a raggiungere una share di mercato di oltre il 16% della ricchezza, è stato deliberatamente affossato. Il settore è opaco, confuso e ha perso d’identità. La competitività si è ridotta, trascurate le opportunità, tranne pochissimi casi, di emergere ottimizzando le esperienze e innovando. I Pf, specializzandosi in servizi accessori e affidandosi alla relazione online, non hanno più le caratteristiche tradizionali del professionista, che consistono nell’offrire soluzioni di esigenze complesse e relazione professionale in prima persona. Il settore è in stallo, occorrerebbe reimmaginare tutto il mercato e liberalizzarlo facilitando la mobilità dei clienti e dei Pf. Le aziende devono essere attraenti: quelle che lo diventeranno vedranno aumentare il numero dei clienti, il numero dei Pf che vogliono trasferirsi e potranno selezionare i migliori, promuovendo anche nuove forme di svolgimento dell’attività. Liberalizzazioni, innovazioni e competitività sono strumenti indispensabili, per la crescita e lo sviluppo, perché rinunciare quando il 94% del mercato è depositato presso un sistema che è in non lievi difficoltà? (riproduzione riservata)