di Andrea Montanari

Quanto c’è di vero nelle voci che vedrebbero in una prospettiva non lontana l’unione tra Unicredit e Mediobanca? E quanto può essere credibile, invece, una fusione tra la merchant bank di Piazzetta Cuccia e la Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti? Difficile dire. Anzi, se queste domande venissero poste a uno dei grandi azionisti di Mediobanca facilmente si sentirebbe rispondere che non vi è nulla di vero. Resta però il fatto che nelle ultime settimane a Milano e a Roma è circolato di tutto. E per una volta probabilmente non si tratta solo di illazioni: dietro il fumo si intravedono pezzi d’arrosto. Perché tutto converge nella direzione di una Mediobanca rinnovata, trasformata e incanalata verso una nuova mission. Insomma, per quello che è stato per decenni il cuore pulsante dell’articolata Galassia del Nord è venuto il tempo di un ripensamento profondo dettato sia dagli effetti devastanti prodotti sul sistema finanziario dalla crisi globale sia dalle scelte di portafoglio che fatalmente oggi impongono nuove iniziative e prospettive differenti. Il che non vuole dire che il management di Piazzetta Cuccia, indubbiamente tra i più validi e competenti non solo nel panorama nazionale ma anche sullo scacchiere europeo, debba necessariamente prepararsi a fare armi e bagagli. Le voci più aggressive che circolano sull’amministratore delegato Alberto Nagel e anche sul presidente Alberto Pagliaro sono infatti smentibili anche dal buon senso. Certo, il fatto che la vicenda FonSai sia finita sotto il faro della Procura di Milano non depone a favore di un autunno sereno, quantomeno sul piano reputazionale. Non è certo per scambiarsi i saluti del dopo-vacanze che Nagel, rispondendo anche all’invito implicito di alcuni grandi soci, ha convocato un cda per mercoledì 5 settembre. I suoi chiarimenti sulla tormentata vicenda FonSai e il suo improvvido comportamento nel trattare con la famiglia Ligresti aiuteranno a capire di più. Di sicuro verrà esaltato il fatto che la fusione tra FonSai e Unipol ha di fatto salvato il credito (circa 1,1 miliardi) di Mediobanca verso le attività dei Ligresti. E tuttavia, «a mia memoria è la prima volta che in Mediobanca si fa un consiglio ad hoc per un tema specifico come questo. L’argomento del resto è alquanto delicato e il management ha avuto la corretta idea di riferire in seduta plenaria», dichiara a MF-Milano Finanza un membro anziano del cda di Piazzetta Cuccia per il quale il tutto sta avvenendo «in un momento in cui è possibile che si verifichino cambiamenti epocali nello scacchiere della finanza. Il Paese oggi è diverso, ciò non può che influenzare il contesto economico». E non v’è dubbio che un crocevia di interessi e relazioni come Mediobanca abbia una forte connessione con il tessuto politico. Questa liaison c’è stata in passato e ci sarà sempre. Ed è per questo che il ricambio di governo, con l’insediamento dell’esecutivo Monti, e ancora di più i vari riposizionamenti in vista delle elezioni, è uno dei fattori esogeni che favoriscono il processo di cambiamento. «Effettivamente qualcosa nella galassia potrà cambiare nei prossimi mesi», conferma dietro la richiesta di anonimato un banchiere del Nord di comprovata esperienza e ancora attivo sul dossier. «Ma il nodo non si scioglierà prima della stesura della nuova legge elettorale». Valutazione che viene condivisa da un altro consigliere. «Non mi stupirebbe assistere a spostamenti di manager e professionisti affermati. Con il contestuale indebolimento di alcuni centri di potere e il rafforzamento di altri». Tutte disamine, insomma, che testimoniano come si sia fatta sempre più strada la percezione che Mediobanca, un tempo crocevia e stanza di compensazione delle trame finanziarie tra grandi gruppi imprenditoriali e consolidate famiglie industriali, adesso stia perdendo progressivamente questo ruolo. E come una forza centrifuga stia facendo esplodere all’esterno la sua natura. Del resto, sono le vicende che in questi ultimi tempi l’hanno vista non protagonista a confermare la sensazione: i ripetuti ricambi ai vertici delle Generali (che non sempre l’hanno vista in prima fila), l’operazione di sistema su FonSai, la guerra in atto tra i gruppi Gavio e Salini su Impregilo, il duro scontro tra Tronchetti Provera e Malacalza per il controllo di Camfin-Pirelli e, infine, il ripensamento degli assetti di Rcs Mediagroup e del Corriere della Sera. Tutte partite che in passato sarebbero state risolte entro le solide mura del fortino di Piazzetta Cuccia e che oggi, invece, vengono regolate all’esterno con esiti talvolta sorprendenti rispetto a quelli che si poteva ipotizzare un tempo. L’immagine più nitida che testimonia il cambio di rotta è ciò che è accaduto negli ultimi anni alle Generali, la partecipazione più importante di Mediobanca. Le uscite condite da polemica degli ex presidenti, il defunto Antoine Bernheim e Cesare Geronzi, e l’ancor più roboante defenestrazione dell’ad Giovanni Perissinotto sono la riprova che anche la parte più nobile del suo portafoglio sta risentendo del mutamento in atto. Vicende che tra l’altro non hanno fatto bene al titolo Mediobanca visto che nonostante il rally d’agosto (+52,7%), legato alle indiscrezioni relative alla possibile revisione delle strategie e a un fantomatico spin-off, le azioni che oggi viaggiano a 3,72 euro sono lontane anni luce dai valori pre-crisi (16-17 euro). Peraltro, non è da sottovalutare che in questo caldo agosto sul mercato è transitato oltre il 18% del capitale di Piazzetta Cuccia. A dimostrazione che c’è chi lavora con trepidazione alla rivoluzione d’autunno. «Certo, le performance sono quelle che sono ma Mediobanca è un luogo dove accadono cose che a volte esulano da Piazza Affari», dice un socio del patto. «Se il nuovo management delle Generali darà la tanto attesa sterzata, anche la banca ne guadagnerà e potrà tornare a distribuire un dividendo». Un altro casus belli che sta confermando come i poteri in campo si stiano modificando sensibilmente è Rcs Mediagroup. La casa editrice proprietaria del Corriere della Sera, vero snodo della politica italiana, sta vivendo una breve ma quantomai felice stagione borsistica. Nell’ultimo mese ha guadagnato il 211% risalendo da 0,43 euro del 25 luglio a 1,43 euro di venerdì 31 agosto, giorno nel quale si è assistito al picco annuo di compravendite: 8,26 milioni di azioni trattate, l’1,13% del capitale, che ha portato il saldo degli scambi su base mensile al 4,8%. Poca cosa comunque per chi pregusta un’opa. Più facile, semmai, ipotizzare un sostegno al titolo in vista di un aumento di capitale a forte sconto. Con annesso scioglimento anticipato del patto e nuovi attori protagonisti come Giuseppe Rotelli (già al 16,55%) e Diego Della Valle (5,5%) fuori dai vincoli del patto di sindacato pronti a cambiare il volto del gruppo. Magari in tandem. O con le banche, a partire da Intesa Sanpaolo e Ubi Banca (entrambe vicine al sempre temuto Giovanni Bazoli, presidente di Intesa e in un certo senso dominus del Corsera), sono pronte a fare la loro parte forti di importanti crediti da convertire in equity. «Per rivitalizzare un gruppo che ha evidenti potenzialità inespresse dovrebbe ricomparire una figura come quella dell’Avvocato Agnelli. Allora si che in un’ora si deciderebbe tutto», ammette sconsolato un pattista. Da una vicenda all’altra, il caso Impregilo è quello in cui forse Mediobanca ha mostrato più il fianco e l’attuale debolezza. Piazzetta Cuccia è azionista del general contractor solo con una piccola quota, ma lo smacco subito nel
corso della guerra per il controllo del cda fa ancora male. «Una volta non sarebbe mai accaduto», era il refrain di molti navigati broker di Piazza Affari. Nei giorni successivi si è cercato a lungo il colpevole, ma presto l’analisi ha lasciato il posto alle strategie. C’è infatti chi giura che la partita non sia ancora chiusa. Salini ha nominato il cda di Impregilo, ma Gavio resta azionista con il 29,9% e non sembra essere intenzionato a deporre le armi. Di sicuro, però, per portare a buon fine un ennesimo ribaltone sul general contractor l’appoggio e la regia di Piazzetta Cuccia (quella di un tempo) potrebbero fare la differenza. In definitiva, è in questo contesto che sta maturando la convinzione che Mediobanca sia divenuta un target ideale per una scalata borsistica. Anche se chiunque abbia intenzione di avvicinarsi con propositi bellicosi dovrà riflettere attentamente sulle convenienze. Perché al di là del portafoglio nobile, nel giardino di Piazzetta Cuccia svetta un baobab che si chiama credito al consumo e che merita un’attenta radiografia: la Compass infatti vanta un’esposizione pari a circa 14 miliardi. Quanta parte di questi miliardi tornerà indietro vista la gravità della crisi del settore? (riproduzione riservata)