Il medico è tenuto, in forza del cosiddetto contatto sociale, a fare tutto quanto è nelle sue capacità per la tutela della salute del paziente e tale obbligo permane anche quando non può erogare la prestazione che gli viene richiesta. Ancora una volta la Cassazione è chiamata ad intervenire su un caso di malasanità dall’esito infausto: la morte di un giovane ragazzo per shock settico e stasi ematica pluriviscerale terminale, derivante da un banale ascesso dentario non adeguatamente curato, «evento estremamente raro, non prevedibile nella comune pratica medica». Per i Supremi Giudici si sarebbe trattato di un’ipotesi di omicidio colposo (ex artt. 41-589 c.p.), addebitabile «per colpa generica e per colpa specifi ca, consistita nella violazione delle leges artis» a tutti i sanitari (nel caso di specie ben cinque) che, nei giorni precedenti il decesso, avevano avuto in cura il ragazzo: ciascun medico, infatti, nonostante avesse riscontrato la grave infezione dentale in cui versava, non aveva provveduto (chi per un motivo, chi per un altro) né a praticargli un’incisione che, come anche sostenuto dal perito di uffi cio in sede di dibattimento, avrebbe potuto quantomeno bloccare l’ascesso (tra l’altro resistente alla terapia antibiotica), evitandone, così, l’evoluzione nociva; né, tanto meno, ad informare con una certa precisione l’ulteriore specialista presso il quale lo avevano indirizzato. La responsabilità degli imputati, si legge nella sentenza 13547/2012, emerge dalla circostanza che il decesso era avvenuto perché «nessuno dei sanitari aveva inciso l’ascesso o aveva contribuito, con la propria opera professionale, a consentire la erogazione delle appropriate terapie». Quanto al nesso causale – chiariscono gli ermellini – «in tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interattiva del nesso di causalità una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità ed inopinabilità; condizione, questa, che non può in particolare confi gurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte del soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto». Adelaide Caravaglios