Luigi Dell’Olio

Milano In alcuni casi si tratta di vendite imposte per questioni normative o disposizioni delle authority; in altri di scelte aziendali dettate dalla volontà di concentrarsi sul core business o di ridurre i rischi. Sta di fatto che, dopo un’estate di avvicendamenti ai piani alti della finanza italiana, l’autunno in arrivo si preannuncia all’insegna di importanti dismissioni. A patto, comunque, di trovare compratori interessati. Tra i pacchetti in vendita, uno dei più rilevanti riguarda l’1,6% di Eni (dopo l’1,7% collocato giovedì scorso) che la Cassa Depositi e Prestiti deve dismettere all’interno del riassetto di Snam Rete Gas. Secondo indiscrezioni, nelle ultime settimane, ci sarebbero infatti state discussioni con alcune banche d’affari (si è parlato di UniCredit, JP Morgan e Mediobanca) con l’obiettivo di far partire a breve l’operazione, complice un miglioramento della situazione sui mercati. «Questa è l’operazione con minori complicazioni perché si tratta di un percorso già ben avviato», commenta Aldo Martinale, responsabile funzione Studi e Analisi di Banca Intermobiliare. «Considerando la portata e il valore strategico dell’operazione, è verosimile che il compratore sarà un investitore istituzionale». Negli ultimi giorni si è parlato di un interesse marcato da parte di Qia-Qatar Investment Authority, che già nelle scorse settimane avrebbe accumulato titoli del leone a sei zampe per un valore intorno ai 600 milioni di euro. Per il Qatar non si tratterebbe di una novità assoluta: i veicoli d’investimento dell’emirato già in passato hanno acquisito piccole quote di compagnie petrolifere occidentali, a cominciare dal colosso anglo-olandese Shell, di cui controllano poco meno del 3%. Destinata a ridursi anche la partecipazione che la Fondazione Montepaschi detiene in Mps. In questa direzione spinge con decisione il presidente dell’istituto di credito Alessandro Profumo, che a più riprese nelle ultime settimane ha sottolineato come la quota (36,3% del capitale) sia più che doppia rispetto alla media del mercato. La direzione sembra segnata, anche se gli spazi di manovra non sono molto ampi: il 33,5% che fa capo alla Fondazione è in pegno ai creditori, per cui la quota vendibile ammonta al 2,8%. Al momento Siena non avrebbe raccolto manifestazioni di interesse esplicite, anche se la sensazione diffusa tra gli operatori del mercato è che il nuovo socio sarà un soggetto bancario straniero, interessato a compiere un primo passo nel mercato italiano (si è fatto il nome di Hsbc, ma poi la pista non ha avuto seguito). Pur nella consapevolezza di dover fare i conti con un socio ingombrante come la Fondazione, che comunque continuerebbe a giocare un ruolo primario. «E’ probabile che questa operazione si realizza non tramite una dismissione diretta da parte dell’ente senese, ma attraverso la sua mancata partecipazione a un eventuale futuro aumento di capitale», prevede Martinale. Ancora da definire nei dettagli è poi la partita che ruota intorno a Mediobanca. Piazzetta Cuccia appare intenzionata a ridurre le sue partecipazioni in altre società, a cominciare da Generali (di cui detiene il 13,2%), con l’intento di rientrare nei parametri di Basilea 3. Il progetto allo studio vede una discesa poco sotto il 10%, che le consentirebbe comunque di mantenere il ruolo di principale azionista. A questo pacchetto si aggiungerà anche il 4,5% in pancia a Bankitalia. In questo caso l’obiettivo è di evitare possibili conflitti di interesse, considerato che l’istituto di Via Nazionale si appresta a inglobare il regulator assicurativo (l’Isvap), nell’ambito della riforma contenuta nel decreto sulla spendig review. Vanno poi considerate le quote detenute da Unipol-Fonsai in Mediobanca (3,83%) e l’1,7% di Generali, che il nuovo gruppo deve cedere su indicazione dell’Autorità antitrust. Il gruppo assicurativo triestino, intanto, nelle ultime due settimane ha visto scendere progressivamente la partecipazione da parte del socio forte, Petr Kellner: il finanziere ceco sta infatti dirottando i suoi investimenti verso Russia e paesi limitrofi. Chi comprerà? «La situazione è in divenire», osserva un operatore di mercato, «e si procede per esclusioni. Ad esempio, non vedo possibili investitori internazionali, vuoi per il ruolo ‘di sistema’ che svolge Generali in Italia, vuoi perché il titolo ha recuperato parecchio nelle ultime settimane, per cui non ci sono le condizioni per un turnaround radicale». «Al momento è difficile dirlo, considerato che i movimenti intorno al cosiddetto salotto buono della finanza italiana hanno ricadute non solo di carattere economico- finanziario, ma anche strategiche», ribatte l’esperto di Banca Intermobiliare. Dopo che la candidatura di Investindustrial è stata smentita dai diretti interessati, i due nomi in pole position sono Leonardo Del Vecchio, che ha appena incassato 480 milioni di euro dalla cessione del 3,8% di Luxottica (sul 7% che ha in programma di dismettere), e la famiglia Malacalza, alle prese con un duro braccio di ferro con Marco Tronchetti Provera su Camfin. In caso di sconfitta, gli imprenditori genovesi potrebbero ottenere una lauta buonuscita, che – sommata alla liquidità già in loro possesso, stimata in circa 1,5 miliardi – gli consentirebbe di entrare con forza in uno dei gangli del potere italiano.