Massimo Giannini

Il “generale agosto” prometteva tsunami finanziari e sfracelli politici. Dei primi, per fortuna, non c’è traccia. I secondi, come sempre, covano sotto traccia. In attesa del rituale “autunno caldo”, due temi si impongono. **** L’estate che va a morire sancisce il mesto tramonto di quel che resta del “grande capitalismo italiano”. Il regolamento di conti appena iniziato in Mediobanca chiude un ciclo di veleni e di vendette che squasssano l’ex Salotto Buono, dalla scomparsa di Vincenzo Maranghi in poi. Sono cadute molte “teste coronate”. Da Profumo a Geronzi, da Perissinotto a Ligresti. Ora si giocano le residue battaglie intorno alle poltrone già logore di Nagel e Tronchetti. Il primo paga tutti gli affari andati a male della Galassia. Il secondo sconta l’eredità Telecom e le mire dei Malacalza. Ma al di là dei recenti fuochi d’artificio di Borsa, cosa resta dei Poteri Forti di un tempo, se non le macerie del vecchio “capitalismo di relazione” e le ambizioni di qualche Don Chisciotte in cerca di profitto e proscenio? Chi verrà “dopo”, a ricostruire qualcosa? Leonardo Del Vecchio, che esce e rientra da Generali, ma non si sa con quale disegno? Diego Della Valle, che spara giustamente sul quartier generale, ma non si sa con quali obiettivi? Woody Allen insegna. Agnelli è morto, Cuccia è morto, e anch’io non mi sento molto bene. **** E’ un vezzo ricorrente. Quando sono a corto di idee e di risorse, i governi propongono

“patti”. Patto sociale, patto per la crescita, patto tra le generazioni. Ce n’è per tutti i gusti, nel vasto campionario della “patto-mania” italiana. Ora va di moda il “patto per la produttività”. L’ha lanciato Corrado Passera. Non che il ministro dello Sviluppo abbia sbagliato. La produttività è il vero “spread” che ammorba il Paese. Un costo del lavoro per unità di prodotto che cresce da almeno dieci anni, mentre quello della Germania nello stesso periodo si riduce, è una zavorra che schianta il Sistema-Italia. Ma quando si propone un patto si ha il dovere di dire cosa ci si vuole metter dentro. E allora. Cosa può mettere sul tavolo il governo di Monti, che non ha un euro da spendere? Cosa può mettere sul tavolo la Confindustria di Squinzi, che al discorso di investitura ha tuonato il suo no ad ogni forma di cogestione alla tedesca? Cosa può mettere sul tavolo la Cgil di Camusso, che continua a invocare sgravi sui salari che aiutano ma non risolvono? I patti, senza fatti, sono semplici slogan. Il primo a proporre un “patto tra i produttori” fu Togliatti nel ’46, nel famoso discorso di Reggio Emilia su “Ceto medio e Emilia rossa”. Di lì non ci siamo più mossi. m.giannini@repubblica.it