di Andrea Bassi e Antonio Satta

Elsa Fornero, raccontano, non l’ha presa bene. Appena terminato il suo intervento al question time di ieri alla Camera, nel quale ha annunciato una dilazione di almeno 12 mesi per la restituzione delle quattordicesime indebitamente percepite dai pensionati, si è appartata con l’ex ministro Cesare Damiano. I due hanno discusso animatamente. Al centro del colloquio la decisione presa dall’Ufficio di presidenza della Camera, su insistenza del capogruppo del Pd, Dario Franceschini, di far calendarizzare in aula la proposta di legge sulle pensioni, che porta proprio il nome di Damiano e che in Commissione Lavoro è stata licenziata all’unanimità (con la sola eccezione del voto contrario di Giuliano Cazzola del Pdl). Una vera e propria controriforma, rispetto a quella targata Fornero, apprezzata dai mercati che l’hanno sempre considerata in linea con le raccomandazioni della lettera inviata dalla Bce al governo italiano. La proposta Damiano reintroduce, rivisti, i vecchi scalini. Permetterà di ritirarsi dal lavoro dal primo gennaio prossimo a tutto il 2015, con 35 anni di contributi e 59 di età. Dal primo gennaio 2016 a tutto il 2017 l’età salirebbe a 60 anni. La pensione, tuttavia, sarebbe pagata interamente col metodo contributivo. La proposta copre anche tutti gli esodati, compresi quelli che hanno scelto la prosecuzione volontaria del lavoro e che matureranno i requisiti entro il 2018. Che cosa Fornero pensi di questa riforma l’ha già detto a fine agosto, in una lettera inviata alla Commissione Lavoro della Camera, in cui aveva avvisato del pericolo di una reazione negativa dei mercati all’annuncio di una marcia indietro sul sistema previdenziale. Anche il Tesoro, tramite il sottosegretario Vieri Ceriani, ha già fatto sapere che gli oltre 5 miliardi necessari a finanziare il progetto, non possono essere recuperati attraverso un aumento delle tasse sui giochi. Ma Franceschini, appoggiato soprattutto dalla Lega, ha battuto i pugni sul tavolo e ha ottenuto la calendarizzazione in aula. Al Pd sanno bene che la controriforma delle pensioni non ha alcuna chance di essere approvata durante questo ultimo scorcio di legislatura. In primo luogo perché la copertura con maggiori entrate dai giochi non passerebbe al vaglio europeo. E comunque, anche se il provvedimento riuscisse ad essere approvato alla Camera e poi a superare, senza modifiche, pure l’iter del Senato, vista la copertura incerta non otterrebbe mai la firma del Quirinale. Perché allora la forzatura? Tutti i partiti, ma il Pd più degli altri, sanno che non possono presentarsi davanti all’opinione pubblica nelle imminente campagna elettorale, senza aver dato alle decine di migliaia di esodati il segnale di avere a cuore i loro problemi. Pierluigi Bersani, già impegnato per le primarie Pd, ne ha fatto un tema centrale della sua piattaforma, tanto più che Matteo Renzi, il suo vero sfidante, ha già detto che per lui la riforma Fornero è intoccabile. E le primarie si dovrebbero tenere proprio tra ottobre e novembre. Certo, sulla carta la controriforma Fornero potrebbe anche servire come clausola di dissolvenza della legislatura. Se la situazione dovesse farsi insostenibile, tra crisi, scandali ecc, e sotto il rischio, magari, di un accordo per una legge elettorale a misura di Centrodestra e Udc, per il partito democratico potrebbe essere meglio far saltare il tavolo ingaggiando un braccio di ferro con il governo a difesa degli esodati. Ma questo è un retropensiero che nessuno ammetterebbe mai. (riproduzione riservata)