di Francesco Ninfole

Per tornare agli utili e alle valutazioni pre-crisi ci vorrà tempo. Ma, in attesa di un miglioramento dell’ultima riga di conto economico (i profitti sono calati del 66% nel primo semestre rispetto all’anno precedente), nel 2012 le banche finora hanno pensato soprattutto a mettere in sicurezza lo stato patrimoniale, migliorando gli indici di capitale e di liquidità. Tutte le maggiori banche italiane hanno rafforzato il patrimonio e hanno riequilibrato il rapporto tra raccolta e impieghi, aumentando la prima e riducendo i secondi. In generale, le esposizioni verso clienti sono state ridotte (anche in un contesto di domanda più bassa) e il profilo di liquidità è migliorato: le banche italiane sono così meno dipendenti dagli umori dei mercati e più vicine alle richieste dei regolatori. Proprio i rapporti di liquidità di Basilea 3 sono la sfida principale per molte banche europee (soprattutto francesi), al punto che la Bce sta spingendo per allentare i requisiti. Questi elementi sono emersi nelle semestrali pubblicate nei giorni scorsi dalle banche di medie dimensioni (Mps, Ubi, Banco Popolare, Bper, Bpm), che si sono così aggiunte a quelle dei due big Unicredit e Intesa Sanapaolo (pubblicate invece a inizio mese). In tema di liquidità, per esempio, come ha fatto notare Ubs, i depositi della banca guidata da Pier Francesco Saviotti sono cresciuti del 5% da inizio anno, mentre i prestiti sono scesi del 3%: di conseguenza il rapporto prestiti-depositi è sceso al 96%. Inoltre è rimasta stabile la quantità di denaro ricevuto dalla Bce, con possibilità di ulteriore espansione per 11 miliardi di prestiti allo sportello dell’Eurotower. I requisiti di liquidità di Basilea 3 (che entreranno in vigore dal 2015) sono già stati raggiunti e anche il capitale Core Tier 1 è salito al 10,2% grazie anche alla validazione dei modelli interni di rating. «Grazie al miglioramento delle posizioni di liquidità e capitale, Banco Popolare può rilanciare la crescita dei prestiti, facendo aumentare il margine di interesse e la redditività», ha spiegato Ubs. Un discorso molto simile è stato fatto dalla banca svizzera per Ubi: i depositi dell’istituto guidato da Victor Massiah sono aumentati del 4,9%, mentre i prestiti sono calati del 4,4% e così il rapporto prestiti/depositi è sceso al 93%. Ci sono altre linee utilizzabili presso la Bce per 12 miliardi, i rapporti di liquidità di Basilea 3 sono stati raggiunti e il capitale Core è salito al 10,2%. Indicazioni analoghe erano emerse anche per Unicredit e Intesa. Massiah ha fatto sapere che il gruppo è sostanzialmente indipendente dal funding istituzionale e il rimborso delle somme ottenuto con le operazioni di Ltro della Bce «non è un problema». Che cosa vogliono dire questi numeri? Le banche stanno innanzitutto facendo i conti con il nuovo scenario macroeconomico, regolamentare e di mercato, che richiede più solidità per accedere ai mercati di rifinanziamento: questo è ancor più vero per le banche italiane, a causa del forte aumento nell’ultimo anno del rischio-Paese. Gli spread non sono ancora scesi in modo significativo: la svolta in tal senso potrebbe arrivare nei prossimi giorni se la Bce (che finora ha sostenuto illimitatamente le banche ma non gli Stati) interverrà per affrontare il problema principale, ovvero il rischio sovrano, con effetti che a catena si faranno sentire anche su istituti e imprese. Inoltre per le banche italiane il rafforzamento di capitale e liquidità significa mettere le basi per la ripartenza futura, sia dal punto di vista del credito all’economia sia sul fronte dei profitti. Finora quest’ultimo aspetto è mancato nei risultati semestrali. C’è da dire che la messa in sicurezza dei bilanci si sta realizzando anche con misure che incidono negativamente sul conto economico, come l’aumento delle rettifiche sul credito (e di conseguenza dei tassi di copertura dei prestiti deteriorati) e la svalutazione degli avviamenti frutto della stagione di acquisizioni pre-crisi (come nel caso Mps per Antonveneta). Le svalutazioni sul credito e sugli avviamenti hanno pesato ancora una volta in modo determinante sui conti di fine semestre (lo stesso andamento si era mostrato nei bilanci 2011): perciò alla fine i profitti del comparto sono scesi complessivamente da 3,9 a 1,3 miliardi (-66%, si veda tabella in pagina). Il lato positivo è che, dopo questa nuova pulizia dei conti, almeno dal punto di vista degli avviamenti non ci dovrebbero essere nuove sorprese: quello di Mps, per esempio, è ormai sceso a 700 milioni dopo le ultime svalutazioni, ovvero lo 0,3% degli attivi. Diverso il discorso per le rettifiche sul credito, che a causa della recessione saranno elevate anche nel secondo semestre. Sul fronte del risultato di gestione, che non considera oneri straordinari e svalutazioni sul credito, c’è stato tuttavia un miglioramento del settore bancario del 7,5%: un passo avanti non decisivo (molto resta da fare per il recupero di redditività delle banche), ma che comunque rappresenta un segnale di ripresa. Anche le semestrali di Ubi e Banco, nonostante la flessione degli utili rispetto all’anno precedente, hanno superato le attese degli analisti. Nel caso del Banco Popolare, Nomura ha rilevato che l’istituto di credito ha registrato un utile netto nel secondo trimestre pari a 138 milioni euro, decisamente più alto rispetto ai 51 milioni attesi, grazie a un beneficio fiscale una tantum da 67 milioni, ma anche per effetto di variazioni positive su commissioni, trading e costi, nonostante un deludente margine di interesse (-6% su base trimestrale). Il rating sul titolo è reduce per Nomura, neutral per Ubs, hold per SocGen; mentre il target price è a 1 euro per Nomura e SocGen e a 1,2 euro per Ubs. Intermonte ha alzato il target price a 1,3 euro da 1 euro e ha evidenziato le notizie positive sul fronte degli accantonamenti su crediti. Anche SocGen ha rilevato il miglioramento della qualità del credito, ma ha inoltre osservato l’alta sensibilità dei risultati all’andamento dei tassi. Proprio considerando la diminuizione attesa dell’Euribor a tre mesi nel terzo trimestre, gli analisti di Equita Sim hanno ipotizzato un margine d’interesse invariato nei prossimi due anni, dunque in flessione rispetto alla stima precedente di +3,7%, parzialmente compensata da maggiori commissioni. Quanto invece a Ubi Banca, nel primo semestre secondo Intermonte i risultati hanno sorpreso positivamente soprattutto grazie al contenimento dei costi e al trading. I conti sono stati al di sopra anche delle previsioni di Equita Sim, per effetto dei one-off fiscali e della buona performance operativa. Ubi, distanziandosi dalle scelte di altre banche, ha inoltre aumentato l’esposizione verso i titoli del debito italiano: Messiah ha precisato che la banca ha in portafoglio bond governativi del Paese per 17,9 miliardi, in crescita rispetto ai 14,75 miliardi del 31 marzo. SocGen ha osservato che l’esposizione al debito sovrano per Ubi è pari al 285% del patrimonio tangibile, in rialzo dal 222% del primo trimestre (contro il 173% di Banco Popolare). Un fattore che rende la banca più legata alla situazione dell’Italia, ma che permette di sostenere i risultati grazie ai buoni rendimenti offerti da Bot e Btp. Il rating sul titolo è reduce per Nomura, neutral per Ubs, hold per SocGen; mentre il target price è a 2,7 euro per Nomura, 2,4 per SocGen e a 2,8 euro per Ubs. Al di là dei singoli casi, è facile prevedere che nei prossimi mesi i top manager italiani, ora in posizione favorevole su capitale e liquidità, si potranno concentrare ancora di più sul recupero di redditività. E alla fine, nonostante le incertezze sulla recessione e sull’a
ssetto istituzionale dell’Eurozona, l’incremento degli utili potrebbe contribuire al recupero di valore in borsa: come si vede dal grafico in pagina, gli istituti italiani sono ancora molto lontani dai livelli del 2007. (riproduzione riservata)