di Franco Bruni*

 

Per la corporate governance, e in particolare gli amministratori indipendenti, questi sono tempi critici e cruciali. Da un lato in diversi Paesi, Italia in prima linea, le autorità sono in materia molto attive, le norme sui conflitti di interesse e sulla trasparenza societaria si fanno più esigenti, il ruolo formale degli amministratori indipendenti si accresce; dall’altro i manager, gli azionisti di controllo, la stessa opinione pubblica, compresi alcuni studiosi di finanza, mostrano freddezza, scetticismo o fastidio per le attenzioni alla governance e per le nuove regole. La ragione è che manca l’evidenza di un impatto positivo delle usuali misure della qualità del governo societario sulla redditività delle imprese, in una fase in cui la crisi economica internazionale esaspera la ricerca di performance. Inoltre il costo burocratico delle regole di governance sembra intralciare i meccanismi decisionali che vorrebbero più spigliatezza, meno controlli e formalismi. Lo scetticismo viene rafforzato dal comportamento degli amministratori indipendenti, quando si mostrano passivi o col volto dei controllori formali, poco interessati agli obiettivi strategici delle società.

Eppure una maggior fiducia dei risparmiatori nella qualità del governo delle società potrebbe aiutare la ripresa, incoraggiando il finanziamento di progetti impegnativi. La chiave per rilanciare l’incisività della corporate governance è un’interpretazione più profonda e pregnante del suo significato. Vanno tenute presenti le conseguenze della governance sia all’esterno dell’impresa, con l’aumento dell’accountability della gestione nei confronti degli azionisti, sia all’interno, dove il buon governo societario si traduce in buone decisioni gestionali. Sotto entrambi i profili il cuore della governance è nella gestione dei rischi dell’impresa.

Verso l’esterno la buona governance comunica fedelmente la combinazione di rischi e rendimenti attesi scelta dagli amministratori. Verso l’interno, sceglie, misura e tiene sotto controllo, con opportune mitigazioni, i vari tipi di rischio. La gestione consapevole del rischio richiede la capacità di classificarlo e misurarlo, senza accontentarsi di intuizioni qualitative quando è possibile calcolarlo con concretezza statistica. La consapevolezza della gestione strategica dei rischi deve scendere la gerarchia manageriale, lungo la quale devono invece salire le informazioni di base necessarie a valutarli e controllarli. Il cda deve orientare e controllare la procedura della gestione dei rischi che, in definitiva, caratterizza e definisce la natura stessa dell’imprenditore.

La cura del rispetto delle norme di legge e dei regolamenti, della correttezza contabile e dei comportamenti dei responsabili operativi, la predisposizione di corretti modelli di remunerazione del management, tutti i profili più usuali con cui viene ottimizzato il governo societario, rientrano ovviamente nella gestione e nel controllo dei rischi. C’è, ad esempio, il tradizionale rischio di compliance, quello derivante dai conflitti di interesse, i rischi operativi e reputazionali. Ma è essenziale considerare questi rischi all’interno di uno schema più ampio e integrato, che impregna l’attenzione degli amministratori e del management nel fare dell’impresa un’organizzazione che seleziona e sostiene con profitto i rischi connessi a progetti produttivi. Ed è in questa prospettiva che gli amministratori indipendenti devono vedersi coinvolti, a fianco degli esecutivi, nella decisione e supervisione del complesso della gestione. La predisposizione delle procedure di controllo dei rischi diventa per loro un’ampia finestra sulle responsabilità complessive del consiglio di amministrazione che sono chiamati a condividere. Inoltre, una governance basata sulla scelta e il controllo dei rischi non può non avere un impatto positivo sulla performance dell’impresa misurata tenendo conto del rischio che ha scelto di affrontare.

È diffusa l’opinione che il principale compito della governance e degli amministratori indipendenti sia l’individuazione e la gestione dei conflitti di interesse, fra manager e azionisti, fra azionisti di controllo e di minoranza, fino agli outsider meno informati. Questa opinione non contraddice la centralità della gestione dei rischi. Infatti le tensioni derivanti dai conflitti di interesse, se non sono gestite adeguatamente, impediscono un controllo accurato dei rischi. Ed è proprio nella scelta esplicita e nella gestione consapevole dei rischi che si possono individuare i conflitti di interesse più rilevanti. Un esempio è il conflitto di interesse che rende a volte gli amministratori e i soci di controllo restii a esplicitare gli obiettivi strategici dell’impresa, per agevolare il perseguimento di interessi privati e speciali e rendere meno oggettivo il rendiconto dei risultati della gestione ai mercati e allo stesso consiglio di amministrazione. Ma una situazione del genere è meno probabile se l’amministrazione è impegnata con un sistema dettagliato di scelta e controllo dei rischi che per sua natura richiede chiari obiettivi gestionali. Un altro esempio sono i conflitti di interesse che riguardano i sistemi remunerativi del management, che il controllo dei rischi permette di commisurare, appunto, ai rischi che comporta il perseguimento dei risultati dai quali dipendono le remunerazioni. Più in generale, i dati e le informazioni necessarie a un sistema avanzato di gestione dei rischi non può che agevolare l’emersione di potenziali conflitti di interesse, compresi quelli connessi a operazioni con parti correlate.

La quantificazione dei rischi, nei limiti in cui è tecnicamente possibile, è parte essenziale di un modello condiviso e trasparente per sceglierli e controllarli. Essa è diffusa, richiesta dalle norme e dalle autorità di vigilanza, per alcuni dei rischi tipici che corrono le imprese finanziarie. Ma dovrebbe applicarsi, nelle forme opportune, anche alle altre imprese di servizi e industriali che possono valutare e interrelare rischi di malfunzionamento interno, rischi macro e rischi tipici dei mercati dove comprano e vendono. Ci sono già esempi incoraggianti e non manca l’attenzione dell’accademia e della letteratura. L’oggettività delle misurazioni, se considerata con buon senso, è garanzia di trasparenza e facilita la predisposizione di segnali capaci di allertare per tempo gli amministratori su aspetti critici della gestione. L’esistenza di procedure per il controllo dei rischi è anche di aiuto per rendere sostanziale l’azione delle autorità che vigilano sulla correttezza della gestione societaria e sui suoi rapporti con i mercati finanziari.

La crisi internazionale è nata da inadeguati controlli dei rischi. Quelli macro originano da quelli micro. È nell’impresa che si controlla il menu di rischi connessi alle attività produttive e alla crescita e si sceglie lungo il trade-off fra rischio e rendimento atteso. È per ottimizzare questo controllo e questa scelta che va rilanciata l’importanza del governo societario. (riproduzione riservata)

*docente di politica monetaria Università Bocconi membro del direttivo di Nedcommunity