Lavori in casa, la tranquillità non è un diritto 

 di Debora Alberici  

La tranquillità in casa è «sacrosanta». Ma secondo la Cassazione è un diritto «immaginario», perciò non risarcibile. In particolare se nel condomino si intraprendono lavori lunghi e fastidiosi, disturbando con immissioni sonore continue le altre famiglie, non si è tenuti a risarcire loro il danno non patrimoniale.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 17427 del 19 agosto 2011, ha accolto il ricorso di una coppia di Milano che ha impiegato molti mesi per ristrutturare il suo appartamento, provocando così fastidiose immissioni sonore e di polveri. Per questo motivo i dirimpettai hanno citato in causa la coppia chiedendo, oltre ai danni patrimoniali, anche quelli morali, biologici ed esistenziali. I lavori inoltre hanno causato anche gravi danni al piano di calpestio dell’intero locale prospiciente il cortile del fabbricato.

Il Tribunale meneghino ha accolto l’istanza sia sul fronte del danno morale sia sul fronte di quello patrimoniale, liquidando 35 mila euro. La Corte d’appello ha confermato il verdetto, riducendo tuttavia la misura del risarcimento a 23 mila euro, fra danni morali, alla serenità familiare e biologici. Ma il verdetto è stato ribaltato dalla terza sezione civile della Cassazione. La Suprema corte infatti, seguendo quel filone giurisprudenziale che ha cancellato il danno esistenziale come figura autonoma, ha bocciato i cosiddetti danni «immaginari», come quello alla serenità familiare.

Il danno non patrimoniale, motivano i Consiglieri, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. In tal caso non si può parlare di danno evento nel senso che il pregiudizio non si verifica per il solo fatto che i lavori siano stati fastidiosi ma vanno accertate le effettive sofferenze patite dagli altri condomini.

Insomma, spiega la Corte, «il danno biologico ha portata tendenzialmente onnicomprensiva, in quanto il cosiddetto danno alla vita di relazione ed i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica, possono costituire solo voci del danno biologico, mentre sono da ritenersi non meritevoli dalla tutela risarcitoria, quei pregiudizi che consistono in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana né possono qualificarsi come diritti risarcibili diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale».

Nell’udienza, tenutasi lo scorso 12 maggio, la Procura generale aveva sollecitato una soluzione opposta e cioè la conferma del risarcimento di tutti i danni.