La responsabilità non esclude l’associazione a delinquere 

 di Debora Alberici  

Nuova stretta della Cassazione sulla legge 231. La responsabilità amministrativa della società coinvolta in un affare illecito non esclude che i manager di questa rispondano personalmente di associazione per delinquere.

È quanto stabilito dalla Suprema corte di cassazione che, con la sentenza numero 34406 depositata il 21 settembre 2011, ha accolto il ricorso della Procura di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta di «Why Not».

Dunque, sulla base di questa motivazione i giudici con l’Ermellini hanno bocciato l’assoluzione pronunciata dal Gup calabrese chiarendo che «è sbagliata l’impostazione della sentenza impugnata là dove sembra escludere la sussistenza dell’associazione per delinquere, in quanto il sistema creato avrebbe dato luogo solo a forme di responsabilità ex dlgs 231/2001 delle società coinvolte».

Invece ad avviso del Supremo collegio, «l’ipotesi di un’eventuale responsabilità delle due società non comporta automaticamente l’esclusione di una possibile responsabilità delle persone fisiche per il reato associativo contestato, essendo tali diverse tipologie di responsabilità del tutto compatibili fra di loro, dal momento che non può negarsi, in ipotesi, che i reati-fine posti in essere dai componenti dell’associazione fossero realizzati anche nell’interesse della società». Ora gli atti torneranno al Tribunale di Catanzaro dove il giudice dovrà rivalutare gli elementi di colpevolezza a carico dei vertici aziendali e dei funzionari regionali alla luce dei principi affermati in sede di legittimità.

Ma non è ancora tutto. In motivazione la sesta sezione penale precisa un altro aspetto interessante. E cioè che anche funzionari pubblici che si accordano con i vertici di aziende private possono rispondere, oltre che di concorso nel reato, anche per associazione per delinquere.

I fatti. L’inchiesta prende le mosse dalla Procura di Catanzaro che l’anno scorso ha iscritto nel registro degli indagati alcuni manager ed esponenti della regione. Secondo l’accusa era nato un sodalizio criminale nel quale alcuni dirigenti avrebbero redatto un bando di gara per esternalizzare dei servizi della Regione Calabria. Bando cucito su misura di un’azienda di gestione di lavoro interinale.

Pochi mesi più tardi il Gup aveva disposto il non luogo a procedere. In particolare la sentenza ha escluso la sussistenza del reato associativo, ritenendo che non vi fosse alcuna prova di accordo finalizzato al compimento di reato contro la pubblica amministrazione, nel senso di una condivisione verso un comune programma criminoso, essendo stati gli illeciti realizzati autonomamente in concorso, di volta in volta, con i rappresentanti delle società. E cioè secondo il Gup non esisteva nessuna associazione a delinquere retta da politici che, attraverso l’opera di un noto imprenditore, «volevano sovvertire le naturali regole della competizione elettorale per acquisire fraudolentemente consenso elettorale».

Contro questo verdetto la Procura ha presentato ricorso in Cassazione e l’impianto accusatorio così ricostruito ha fatto breccia nel collegio della sesta sezione penale del Palazzaccio.

Di tutt’altro avviso, invece la Procura generale della Cassazione, che aveva invece chiesto per tutti gli indagati la conferma del proscioglimento, sollecitando l’inammissibilità del gravame e in subordine il rigetto.