Maniere forti per i fondi pensioni. Oggi adesioni solo al 22% 

 di Stefano Sansonetti  

Servono le maniere forti per far decollare il sistema della previdenza integrativa. Perché con pensioni inevitabilmente sempre più magre, il secondo pilastro diventa fondamentale. Peccato che oggi ai fondi pensione aderisca appena il 22% dei lavoratori. Per questo bisogna pensare a misure più incisive.

 

Per esempio a un’adesione obbligatoria ai fondi nel momento dell’assunzione del lavoratore. Il quale, eventualmente, potrà scegliere espressamente di uscire dal sistema. La proposta, all’interno di un corposo pacchetto, è stata avanzata dalla Mefop, la società controllata dal Tesoro che si occupa del secondo pilastro, all’interno di un libro presentato ieri, dal titolo «La previdenza complementare: quale futuro?» L’idea ha raccolto la piena adesione del ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, e una significativa apertura da parte del direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli.

A illustrare nel dettaglio la proposta è stato Mauro Marè, consigliere economico di via XX Settembre (il ministro, Giulio Tremonti, lo ha voluto a capo di uno dei tavoli per la riforma fiscale) e presidente della medesima Mefop. Nel testo Marè parla chiaro, quanto alla possibilità di «spingere» normativamente l’adesioni ai fondi che oggi è su base sostanzialmente volontaria.

«Potrebbero essere studiati, e forse sperimentati, un’adesione obbligatoria per via contrattuale, con il solo contributo del datore di lavoro», scrive, «oppure forme più forti di automatic enrollment, con l’adesione automatica a meno di un rifiuto esplicito da parte del lavoratore». Sulla stessa linea il ministro del lavoro. Sacconi, nell’analizzare i possibili interventi di rilancio di un settore che ancora stenta, ha parlato espressamente di «una tacita iscrizione del lavoratore nel momento in cui si instaura un nuovo rapporto di lavoro». La prospettiva, inoltre, è sembrata convincere anche il direttore generale del Tesoro, impegnato in queste settimane con Tremonti nell’arduo lavoro di riequilibrio dei conti pubblici italiani, ormai sotto la pressione quotidiana dei mercati e delle istituzioni comunitarie. Grilli, giocando sul significato di previdenza, ha detto che «bisogna evitare il costo sociale dell’imprevidenza», cioè della mancata programmazione da parte dei lavoratori. E parlando dei fondi pensione in proiezione futura, si è limitato a ricordare che già il primo pilastro è obbligatorio. Come dire: domandarsi oggi se sia il caso di introdurre qualche elemento di obbligatorietà nel secondo pilastro è assolutamente legittimo. Unica voce fuori dal coro, da questo punto di vista, è stata quella di Giuliano Amato, presidente dell’Enciclopedia Treccani ed ex premier. «Per principio sono contrario a una previdenza complementare obbligatoria», ha spiegato, rilanciando subito dopo una delle idee su cui tanto si è discusso negli anni scorsi: la possibilità di rendere reversibile l’adesione a un fondo pensione. «Sarebbe una sorta di Valium», ha aggiunto Amato, «che potrebbe dare più tranquillità a chi ha aderito». In altri termini, dando la possibilità di cambiare idea e riportare il tfr in azienda, la misura sarebbe anche un incentivo. Sulla clausola di reversibilità si è detto assolutamente d’accordo Sacconi, che ne ha condiviso la filosofia di fondo.

Nel libro della Mefop, i cui contributi scientifici sono stati amalgamati da Marè, vengono delineate anche altre possibilità d’intervento per stimolare la previdenza complementare. Lo stesso Marè ha rilanciato un regime fiscale più favorevole, basato sul modello Eet: esenti contributi e rendimenti, prelievo al momento dell’erogazione della prestazione. Si è poi parlato della necessità di accorpare i fondi pensione più piccoli, quelli per esempio a cui aderiscono meno di 5 mila lavoratori, per creare strutture più efficienti che gestiscono masse maggiori. Sul punto sia Maroni che Grilli hanno aperto. Il ministro del lavoro, poi, ha aggiunto che tra le misure possibili c’è l’alleggerimento dei limiti d’investimento oggi imposti ai fondi e l’introduzione di «un fondo interfondi», ovvero una garanzia di ultima istanza a carico dei fondi pensione per salvaguardare le risorse accumulate dai lavoratori».