La Gran Bretagna fa sul serio e presenta un piano di riforme del sistema bancario che, seppure presenti un’ovvietà e cioè che il retail non debba accollarsi i rischi dell’investment, non risulta tanto ovvio per come i colossi globali del credito sono usciti dalla crisi (a parte qualche vittima del calibro di Lehman Brothers). Nel suo rapporto finale la Independent Commission on Banking (Icb, ente istituito nel giugno 2010, con un certo ritardo, visti i disastri che hanno colpito il sistema bancario britannico), presieduta dall’ex capo economista della Bank of England John Vickers, imporrebbe agli istituti di detenere capitale per almeno il 10% delle attività retail domestiche. Ma più in generale la riforma si propone di essere la più esigente tra quelle allo studio in Europa (solo la Svizzera sta preparando interventi paragonabili), con riserve per l’assorbimento delle perdite tra il 17 e il 20% del capitale. Le nuove regole internazionali, che entreranno in vigore nel 2019, chiedono un minimo del 7% di riserve per salire al 9,5% nel caso dei colossi bancari. L’Icb stima che i costi annuali pre-tasse della riforma saranno tra quattro e sette miliardi di sterline.
Il governo britannico ha appoggiato il piano, sottolineando che aiuterà la ripresa dell’economia proteggendo i contribuenti. «Ci sono molti cambiamenti coinvolti – ha dichiarato il ministro delle Finanze britannico George Osborne – e per questo sarà necessario un po’ di tempo. L’importante è che questa legislatura passi la riforma».