DI LAURA MAGNA

 Una notizia buona e una cattiva per chi investe in previdenza integrativa. La legge 148/2011 del 15 settembre (ovvero quella relativa alla manovra di agosto) ha aumentato, a far data dal primo gennaio 2012, la tassazione sulle rendite finanziarie, e quindi anche su quelle derivanti dall’investimento in fondi comuni, dal 12,5% al 20 per cento. Ma ha lasciato invariata l’aliquota dell’11% sui fondi pensione. Questa è la notizia buona. Quella cattiva è che i fondi pensione, chiusi e aperti, e i Pip (piani individuali pensionistici) non hanno subìto la rivoluzione che dal primo luglio scorso ha coinvolto invece i fondi comuni, rimuovendo l’anomalia tutta italiana dell’imposta sul maturato.

TASSAZIONE IN TRE FASI. Ma a conti fatti, secondo gli analisti interpellati da B&F, la tassazione sulla previdenza integrativa resta conveniente. E vi spieghiamo perché. «Le imposte vengono applicate alle diverse fasi della previdenza – sintetizza Filippo Battistini, responsabile del business per l’Italia di State Street Global Advisors – ovvero contribuzione, accumulazione e prestazione. Innanzitutto, la legge prevede che il contributo a carico sia del datore di lavoro e sia del lavoratore sia deducibile fino a un limite massimo annuo di 5164,57 euro». Per fare un esempio, un lavoratore con un reddito annuo lordo di 30mila euro paga di Irpef 7.720 euro. Se questi, però, aderisse a una forma pensionistica per il 4% del suo reddito, ovvero 1.200 euro, l’imponibile per il calcolo dell’Irpef sarebbe pari a 30mila meno 1.200, ovvero 28.800 euro. L’Irpef quindi ammonterebbe a 7.264 euro, con un risparmio di 456 euro. «Poi durante la fase di accumulazione – racconta Giuseppe Romano, di Consultique – i rendimenti finanziari sono tassati con un’aliquota dell’11%, a fronte di una vecchia aliquota del 12,5% e di quella nuova che sarà del 20 per cento. La pecca è che questo 11% viene calcolato sul maturato, ovvero sul valore annuale del fondo, che è un valore teorico, in quanto non viene incassato».

FISCO E PENSIONE. Infine, c’è da considerare la tassazione sulla prestazione. «Sulla parte corrispondente ai contributi dedotti durante il periodo di partecipazione – spiega Battistini – viene applicata un’aliquota del 15% fino al 15esimo anno, dal 16esimo questa aliquota si riduce dello 0,30% annuo fino al limite minimo del 9%». Un esempio aiuterà a comprendere meglio. Si prenda come esempio un lavoratore che ha partecipato per 35 anni a una forma pensionistica complementare e che alla fine ha diritto a una pensione integrativa di 7.000 euro lordi annui, di cui 4.900 sono la parte imputabile ai contributi versati, per i quali ha ususfruito della deducibilità fiscale, e 2.100 euro i rendimenti (già tassati). Sui 4.900 euro viene applicata l’aliquota agevolata del 9%: dunque la pensione netta ammonterà a 7.000 meno il 9% di 4.900%, ovvero 6.559 euro. «Si tratta di un principio introdotto per premiare i lavoratori che hanno aderito per molto tempo a una forma pensionistica – spiega il responsabile di State Street Global Advisors – E questa agevolazione sulla prestazione viene applicata anche in alcuni casi di riscatto, oltre che nel caso in cui si richieda l’anticipazione del capitale per spese sanitarie, per gravi motivi di salute».

I PUNTI DEBOLI. Per una vecchiaia tranquilla, però, in molti casi il fondo pensione non basta ed è opportuno diversificare gli investimenti in altri strumenti. «Anche perché, stiamo parlando di investire per molti anni, duranti i quali vi saranno più modifiche del quadro normativo – sostiene Paolo Devescovi, responsabile assicurativo di Copernico Sim – Oltre al fondo pensione, consiglio di sottoscrivere una polizza di rendita differita, a condizione che i coefficienti di trasformazione da capitale in rendita non siano modificabili dalla compagnia, a differenza di quanto avviene sia con il sistema pubblico sia con i fondi pensione. Ogni tre anni i coefficienti di conversione vengono modificati: per esempio, dall’1 gennaio 2010 per una persona di 65 anni si è passati da un coefficiente di 6,136 a uno di 5,62. Quindi, con il sistema contributivo a fronte di un montante disponibile di 100mila euro, la rendita attesa per la pensione pubblica per un 65enne è passata per decreto da 6.136 euro a 5.620. Le rendite erogate dai fondi pensione o Pip in funzione dei costi da questi applicati saranno ancora inferiori. Vi è stata, in una sola volta e senza destare clamore alcuno, una riduzione delle prestazioni di oltre l’8,4 per cento. La prossima variazione verrà comunicata entro l’anno in corso ed entrerà in vigore dall’1 gennaio 2013». Quanto all’aspetto fiscale, occorre in ogni caso rilevare che polizze vita, sia individuali sia collettive, gestioni separate e unit linked sono interessati dalle modifiche della legge 148/2011. «Le polizze vita in essere all’1 gennaio 2012 avranno dunque una doppia fiscalità – spiega Alessandro Marini, agente di Generali – in quanto i rendimenti maturati fino al 31 dicembre 2011 saranno tassati al 12,5%, mentre ai rendimenti maturati successivamente sarà applicata la nuova aliquota. Le modalità di determinazione della nuova aliquota e della relativa base imponibile, comunque, non sono ancora note. Si attende l’emanazione del decreto attuativo».