Contributo di solidarietà del 3% sopra i 300 mila euro di reddito: lo pagheranno 34 mila italiani. Seconde case nel mirino. Più cari auto, vino e scarpe: dall’imposta indiretta 4 miliardi. Maggioranza in affanno, fiducia al Senato di Roberto Sommella 

Il governo cambia per la quarta volta la manovra nel giro di venti giorni e, sotto la pressione della speculazione finanziaria e delle massime autorità a cominciare da Colle e Bce, riposiziona l’assetto contabile del decreto salva-spread. Ora la scure si abbatterà sui super ricchi, coloro che guadagnano oltre 300 mila euro (ma nel comunicato di Palazzo Chigi era scritto 500 mila), che saranno chiamati a pagare un contributo di solidarietà del 3% fino al raggiungimento del pareggio di bilancio; sulle donne, le cui pensioni nel settore privato verranno parametrate al pubblico a partire dal 2014 e non più dal 2016; e sull’aumento dell’Iva dal 20 al 21% che inciderà su una lunga serie di beni di consumo a cominciare dalle auto per finire con il vino. È l’esito dell’ennesima giravolta dell’esecutivo, dopo un nuovo vertice della maggioranza a Palazzo Grazioli in cui si è deciso di dare subito un segnale ai mercati, come anticipato da MF-Milano Finanza, inserendo nella manovra all’esame del Senato qualcosa di più di quanto fatto fino a oggi e punito pesantemente dai mercati.

Come anticipato da questo giornale, il premier Silvio Berlusconi aveva già da qualche giorno maturato l’idea di arrivare all’aumento dell’Iva, almeno di un punto percentuale; e alla fine l’ha spuntata, vincendo le resistenze del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, preoccupato per le ricadute sui consumi di una manovra del genere e, pare, anche di Publitalia in ambasce per gli stessi motivi.

 

Ma la paura di essere scalzato da un’ondata di sfiducia e i continui contatti con il Quirinale e con la Banca d’Italia hanno fatto rompere gli indugi al Cavaliere. Così come sono state vinte le resistenze della Lega, che fino a lunedì si era mostrata sorda alle richieste provenienti da Berlusconi e dalla Bce di rimettere mano al settore previdenziale rafforzando le misure strutturali: anche in questo caso l’ha spuntata l’emergenza. E così, dopo la criticatissima norma sullo stop dei riscatti della laurea e del militare, è stata inserita in manovra (e verrà votata da oggi a Palazzo Madama dove il governo ha posto la questione di fiducia) una misura che anticipa di molto, al 2014, l’adeguamento alle regole del pubblico dei criteri di pensionamento pensionistico per le donne vigenti nel settore privato.

La terza gamba della quarta versione della manovra di ferragosto, modificata e riscritta anche nelle ultime ore della notte di ieri, è il contributo di solidarietà deciso solo per una stretta cerchia di contribuenti. Pagheranno infatti il 3% di addizionale Irpef «fino al pareggio di bilancio (fissato dal governo al 2013, ndr)», tutti coloro che guadagnano più di 300 mila euro. Il balzello dovrebbe interessare il reddito complessivo: fondiario (esclusi i redditi da prima casa), da lavoro dipendente, di impresa, autonomo, da capitale. Il contributo sarà deducibile.

L’ultima modifica introdotta alla manovra prevede che l’adeguamento progressivo della pensione di vecchiaia delle donne a 65 anni scatti nel privato a partire dal 2014 fino al 2026. Con la manovra di luglio l’allineamento partiva dal 2020 (fino al 2032) e nella manovra bis di agosto si era già deciso di spostarlo al 2016 (fino al 2028). Attualmente c’è una differenza tra la pensione di vecchiaia delle donne nel privato e nel pubblico. Dal 2012 le donne che lavorano nel pubblico impiego andranno in pensione a 65 anni, con la pensione di vecchiaia equiparata a quella degli uomini. Ora con questo ultimo provvedimento è previsto che anche per le donne nel privato venga gradatamente innalzata l’età a 65 anni ma con due anni di anticipo sulla tabella di marcia originaria.

Come detto la nuova versione della manovra prevede un contributo di solidarietà ma solo per i super ricchi. In particolare, sono 34 mila i contribuenti italiani che dichiarano redditi superiori ai 300 mila euro e che dovranno pagare il 3% di Irpef aggiuntiva. Tra questi ci sono professionisti, imprenditori, banchieri, grand commis (per fare un esempio tra questi cadono i membri delle Authority, i capi di dipartimento dell’Economia, tra cui il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli e il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, con i membri del Direttorio). Il gettito sarà modesto, qualche centinaio di milioni di euro a regime.

 

 

E poi c’è l’Iva al 21%. Dai giocattoli, ai televisori, auto e moto, abbigliamento e calzature, taglio e piega dal parrucchiere, caffè, vino e cioccolato. È su una lunga lista di prodotti e servizi che va a pesare l’aumento di un punto dell’aliquota ordinaria Iva del 20% deciso ieri dalla maggioranza nell’ambito delle misure contenute nella manovra economica. Molte voci riguardano le spese per la casa, ma anche il turismo viene toccato con la previsione di un aumento per stabilimenti balneari e pacchetti vacanza. Per Confcommercio il rischio è che «l’Italia paghi, tutta insieme, un conto davvero troppo pesante». (riproduzione riservata)