Dietro ai contatti fra Tremonti e il Fondo Cic, l’ipotesi di un impegno di Pechino a comprare titoli di Stato a fronte dell’ingresso in asset italiani, tra cui l’Eni. Ma il vero obiettivo sarebbero gli istituti in difficoltà, da Unicredit a Intesa

Da Unicredit a Intesa Sanpaolo, le banche italiane potrebbero presto parlare cinese. Proprio gli istituti italiani, secondo quanto risulta a F&M, sarebbero infatti il vero obiettivo del China Investment Corp (Cic), il fondo sovrano di Pechino che secondo le ultime indiscrezioni rivelate dal Financial Times sarebbe in trattativa con il governo italiano per comprare grossi stock di titoli di Stato a fronte del suo ingresso in alcuni asset del Belpaese. Un paradosso per il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che solo qualche hanno fa aveva alzato le barricate proprio contro la Cina. Ma tant’è, lo scenario economico e politico è stato scosso da una crisi globale e le difficoltà a collocare il debito italiano (servizio a fianco) potrebbero spalancare le porte al Dragone. Secondo la ricostruzione di queste ore, i rappresentanti del fondo cinese sono sbarcati a Roma il 6 settembre per incontrare diversi ministri – tra cui quello dell’Economia, Giulio Tremonti e delle Infrastrutture, Altero Matteoli – nonché la Banca d’Italia. Un vertice top secret che, a distanza di una settimana, sta scatenando una ridda di dietrologie, polemiche e supposizioni. Una situazione che riporta la memoria al 1992 e all’Iri di Romano Prodi, quando a bordo del Britannia, il panfilo della corona d’Inghilterra, manager ed economisti italiani discusero con i banchieri della City sulla prospettiva delle privatizzazioni. Una partita che si è riaperta in queste settimane, a quasi 20 anni di distanza, con le necessità di cassa del governo e sulla scia di una crisi dei mercati che nemmeno la manovra bis è stata in grado di arginare. I rischi di contagio ellenico sono infatti sempre più seri e le incertezze europee crescenti. Da qui, l’idea di aprire ai cinesi e non solo sulle partecipazioni strategiche del Tesoro, Eni in testa (al momento si parla infatti di un coinvolgimento con la Cdp per studiare iniziative di equity comuni).
Secondo le indiscrezioni raccolte da F&M, il vero obiettivo dell’incontro sarebbe l’ingresso del fondo nelle banche italiane. «L’ipotesi – spiega una fonte – calzerebbe a pennello in questo momento di difficoltà in cui le stesse banche hanno perso gran parte del loro valore e hanno annullato, con i ribassi di Borsa, i benefici generati con gli aumenti di capitale. La cessione di quote ai cinesi allenterebbe le tensioni e sopperirebbe – con il placet di Bankitalia e del governo – alla carenza di liquidità dei soci italiani». In cambio, l’esecutivo avrebbe dalla sua un partner commerciale forte che, almeno in un primo momento, potrebbe risollevare gli equilibri finanziari comprando quote di debito. La soluzione sembra ben vista dagli economisti. «Ho sempre auspicato – spiega a F&M Giacomo Vaciago – una partnership con i cinesi. Mi sembra un’ottima potenziale alleanza che a dire il vero estenderei anche agli emergenti, Brasile e India».
Sulla stessa linea anche Giulio Sapelli «che vede con favore le operazioni su banche e settore energy, al momento i più appetibili in Italia» e giudica la mossa del governo come «economicamente giusta», pur sottolineando che alla fine si tratta «di una strategia geopolitioca che non poco potrebbe cambiare gli equilibri mondiali». Ricordando le scelte protezioniste di Usa e Gran Bretagna, il professore della Bocconi riconosce nell’ingresso eventuale dei cinesi in Italia «la creazione di una nuova importante base sul Mediterraneo». Conferme da Pechino sono arrivate poi da Michele Geraci, capo del China Program del Global Policy: «La Cina è interessata a investire in Europa per motivi tanto di stabilità che socio politici – ha dichiarato – Ma dal punto di vista economico, investire in titoli con un rendimento del 4% costituisce per la Cina un ritorno in valuta locale pari a zero; quel poco che si guadagna verrebbe rosicchiato dalla potenziale valutazione del Renminbi».Uno scotto da pagare per mettere le mani sugli asset italiani.