di Daniele Cirioli riproduzione riservata 

 

Nuovo colpo di acceleratore sull’innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia delle donne nel settore privato. L’adeguamento scatterà dal 2014 (due anni prima rispetto al 2016 già previsto), così da portare il requisito d’età a 65 anni dal 1° gennaio 2026 (e non più il 1° gennaio 2028). La novità, decisa ieri dal governo, entrerà a far parte del maxiemendamento al ddl di conversione del dl n. 138/2011 (manovra-bis) su cui verrà posto il voto di fiducia.

Anticipo di due anni. Si riduce sempre di più il diritto delle donne a una pensione anticipata di vecchiaia. Tempo 15 anni, e l’equiparazione fra i due sessi, maschi e femmine, e i settori di lavoro, pubblico e privato, sarà completata. Si parte dal prossimo anno. Prima scatterà lo scalone nel pubblico impiego, così che tutti i dipendenti statali, femmine e maschi, andranno in pensione di vecchiaia a 65 anni. Poi, dal 2014 invece che dal 2016 (grazie al nuovo anticipo della manovra bis), scatterà la marcia verso i 65 anni per le donne nel privato. Infatti, dal 1° gennaio 2012 tutti gli impiegati pubblici potranno andare in pensione di vecchiaia con alla stessa età (oltre, ovviamente, a minimo di 20 anni almeno di contributi): 65 anni, siano essi donne o uomini. La differenza rimarrà invece per qualche tempo soltanto nel settore privato, dove le donne potranno ancora andare in pensione prima, cioè a 60 anni, fino al 31 dicembre 2013. Poi, a partire dal 1° gennaio 2014, scatterà pure in quel settore la graduale salita verso i 65 anni per arrivare al capodanno 2026, quando tutti i lavoratori, femmine e maschi, pubblici impiegati o dipendenti privati, potranno andare in pensione di vecchiaia non prima di 65 anni di età. Nel dettaglio, il requisito anagrafico (età) che oggi nel settore privato è fissato a 60 anni resterà tale fino al 31 dicembre 2013 (salvo gli incrementi dovuti alla speranza di vita) per poi incrementarsi di un mese dal 1° gennaio 2014; di ulteriori due mesi dal 1° gennaio 2015; di altri tre mesi dal 1° gennaio 2016; di altri quattro mesi dal 1° gennaio 2017; di altri cinque mesi dal 1° gennaio 2018; di altri sei mesi dal 1° gennaio 2019 e per ogni anno successivo fino al 2025; di altri tre mesi dal 1° gennaio 2026, quando arriverà a 65 anni.

Diritto a 65 anni, ma liquidazione a 66 e mezzo. Dunque pensione di vecchiaia all’età di 65 anni per tutti dal 2026. Ma solo sulla carta. Perché va tenuto presente il ruolo svolto dalla speranza di vita, i cui effetti cominceranno a farsi sentire dal 2013; e si deve tenere conto della finestra mobile che distanzia di un (altro) anno l’epoca di maturazione del diritto alla pensione da quella di liquidazione del trattamento. Insomma, l’effettiva età di accesso alla pensione slitterà in avanti di altri uno/due anni. Nel dettaglio: prima di tutto la speranza di vita, nell’arco degli anni che mancano al 2026, apporterà l’aggiunta di almeno un altro anno al requisito d’età per la pensione; in secondo luogo, la finestra mobile innalza di un anno (66 anni) o di un anno e mezzo (66 anni e 6 mesi) l’età di pensionamento a seconda, rispettivamente, che il pensionando sia un lavoratore dipendente o un lavoratore autonomo. In conclusione, non si sbaglia ad immaginare che nel 2026, uomini e donne, del settore pubblico e di quello privato, potranno andare effettivamente a riposo, avendo in tasca la pensione di vecchiaia, attorno all’età di 68 anni.