di Massimiliano Tasini  

Il sequestro per equivalente non incontra limiti nel decreto legislativo n. 231/2001 in materia di illeciti posti in essere dalle società di capitali. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 19 luglio 2011 n. 28731.

I fatti. La terza sezione penale della Suprema corte di cassazione viene investita di una questione insorta innanzi al Tribunale di Genova, che aveva comminato la sanzione della confisca per equivalente ai sensi del dlgs n. 231/2001 a carico di una società cooperativa, ritenendola responsabile per il reato previsto e punito dall’art. 10 del dlgs n. 74/2000 (cd. legge «manette agli evasori»), segnatamente del reato di occultamento e distruzione di documenti contabili finalizzato all’evasione fiscale.

La questione si pone in quanto tale reato non è contemplato dal decreto 231 tra quelli presupposti. La tesi difensiva è dunque nel senso che la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi a loro vantaggio da soggetti che rivestono nella stessa particolari funzioni non si estende ai reati finanziari.

La sentenza. La tesi è respinta dalla Corte, la quale ritiene assolutamente irrilevante la mancata previsione degli illeciti fiscali tra quelli cd. presupposti dalla legge 231.

La sentenza valorizza semplicemente il principio della mancanza di adeguata organizzazione, che consente la perpetrazione di una reato che altrimenti non avrebbe potuto essere posto in essere. Essa attribuisce inoltre risalto alla circostanza che, se è pur vero che il reato è addebitabile all’autore materiale del fatto, le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società, che ottiene da tale reato un indubbio beneficio economico.

Solo attraverso la dimostrazione della «rottura» del rapporto organico che lega società e amministratore è dunque possibile deresponsabilizzare la società.