di Carlo Giuro

 

Domanda. In tema di mutui si è parlato molto della portabilità introdotta dai decreti Bersani. È prevista anche per la previdenza integrativa?

Risposta. Sì, la normativa previdenziale prevede la possibilità che l’aderente iscritto a un fondo pensione negoziale, a un fondo aperto o a un piano individuale di previdenza (pip) possa trasferirsi volontariamente dopo due anni di iscrizione allo strumento previdenziale. La normativa precedentemente vigente prevedeva che il periodo di permanenza fosse pari a tre anni.

 

D. Ma la portabilità è tutelata come per i mutui dall’ordinamento italiano?

R. Sì, il tema rappresenta una delle linee guida che regge la riforma della previdenza integrativa entrata in vigore nel 2007. L’attuale normativa dispone infatti anche che gli statuti e i regolamenti degli strumenti complementari stabiliscono le modalità di esercizio relative alla portabilità e non possono contenere clausole che risultino anche di fatto limitative del diritto alla portabilità. Sono considerate poi inefficaci clausole che, all’atto dell’adesione o del trasferimento, consentano l’applicazione di voci di costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità.

 

D. Quali possono le ragioni valide per cambiare strumento?

R. Una possibilità può essere rappresentata dalla insoddisfazione della gestione finanziaria. Va però sempre rammentato che i cambiamenti devono essere operati in modo ponderato e razionale e non sull’abbrivio dell’emotività. Vale la pena porsi domande tipo: su quali archi temporali ho valutato la bontà del gestore? Il mercato di riferimento com’è andato? Un forte alert va poi posto nel caso in cui il lavoratore sia iscritto a un fondo pensione su base collettiva (fondo negoziale o fondo aperto ad adesione collettiva). L’eventuale trasferimento comporta al momento la perdita del diritto al contributo datoriale, non essendo contemplata la possibilità di conservarlo dall’attuale contrattazione collettiva. Considerando che il contributo medio del datore di lavoro può stimarsi attorno all’1,5% (nei contratti collettivi e aziendali del settore bancario e assicurativo raggiunge anche il 3/3,5%), questo non è un particolare da sottovalutare soprattutto se proiettato su archi temporali ampi. Quindi non bisogna farsi incantare dalle sirene suadenti delle reti di vendita.

 

D. Com’è trattato il trasferimento dal punto di vista fiscale?

R. Dal punto di vista fiscale i trasferimenti sono neutri, non sono cioè assoggettati ad alcun prelievo tributario.

 

D. A parte i trasferimenti su base volontaria, esistono altre possibilità?

R. Altre possibilità sono quelle della perdita dei requisiti di partecipazione, per cui non è previsto nessun limite minimo di permanenza e del pensionamento.