di Roberta Castellarin e Paola Valentini

«Se il G20 non troverà un’intesa a livello globale, c’è il rischio concreto che l’attività sia trasferita in Paesi non coinvolti dal provvedimento.

Così si ridurrebbero le entrate fiscali, e le conseguenze sarebbero serie anche per l’occupazione e la crescita, oltre che per la volatilità dei mercati». L’analisi è del segretario generale di Assosim, Gianluigi Gugliotta. L’associazione degli intermediari mobiliari sta già analizzando il possibile impatto della tassa Ue sulle transazioni finanziarie, assieme ad altre organizzazioni europee del settore. Gugliotta osserva che «l’aliquota dello 0,1% va confrontata con il totale delle movimentazioni, che solo in Borsa Italiana toccano i 1.250 miliardi. In totale la misura vale 57 miliardi di euro, una cifra rilevante, soprattutto se si considera che nei prossimi anni le istituzioni finanziarie saranno obbligate dalla normativa a raccogliere capitali».

Anche Advin Partners sim ha sottolineato che «la Tobin Tax potrebbe far spostare su mercati domiciliati in Paesi extra-Ue i trader molto attivi e i grandi investitori istituzionali. Per quanto riguarda invece i risparmiatori gli effetti dovrebbero essere assai poco significativi». Negativo il giudizio di Gian Paolo Bazzani, ad di Saxo Bank Italia: «Una tassa sugli scambi distrarrà l’opinione pubblica dai problemi strutturali, non ultimo quello politico, e spingerà le banche a portare l’operatività fuori l’Ue. Quanto alla tassa, il livello dello 0,1% su azioni e obbligazioni e dello 0,01% su derivati sposterà il trading sui mercati non toccati da tale imposta: Singapore, ad esempio, ma anche le numerose dark pool che le autorità avevano promesso di contrastare. Il premio Nobel Tobin che decenni fa propose una tassa sulle transazioni era il primo a essere scettico sulla sua concreta applicabilità. Figurarsi in un mercato come quello finanziario che la tecnologia ha reso veramente globale».

La Tobin Tax, che potrebbe essere la prima tassa europea contro la speculazione finanziaria, non spaventa invece i gestori, oggi ben più preoccupati della volatilità che ha mandato in rosso i risultati di molti prodotti di risparmio gestito. E in Italia ha compromesso la raccolta dell’asset management, da inizio anno negativa per 8,4 miliardi di euro. Il 70% di essi non teme la Tobin Tax, secondo quanto emerge da un sondaggio condotto da MF-Milano Finanza tra 28 gestori italiani ed esteri. Solo l’1% degli intervistati ritiene che questa tassa possa allontanare gli investitori dalle borse e un altro 15% è scettico sulla sua introduzione. «Quando le asset class danno risultati positivi i risparmiatori non si preoccupano né di una tassa sulle transazioni, né di un’aliquota più alta sul capital gain. Il problema è che la situazione dell’Europa si deve normalizzare, altrimenti il danno sarà ben maggiore di quello della Tobin tax. Anzi questa imposta potrà favorire proprio i fondi rispetto all’investimento diretto», ha affermato il responsabile di un importante gruppo estero. Aggiunge Mario Spreafico, responsabile investimenti di Schroders private banking. «L’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, se avrà un’aliquota contenuta, non danneggerà i fondi. Gli investitori scappano dalle borse perché vanno male, non per paura della tassa sulle transazioni finanziarie». Fa un confronto tra pro e contro Lemanik, che si sofferma sulle transazioni valutarie con derivati: «L’introduzione di una simile tassa potrebbe ridurre la liquidità del mercato: le strategie di brevissimo termine che utilizzano tecniche di arbitraggio probabilistico non risulterebbero più profittevoli, diventando perciò obsolete. In termini di asset allocation la Tobin tax potrebbe influenzare le scelte di investimento a livello geografico, non certo i pesi da assegnare alle varie classi di attivo. Nel caso del Brasile l’introduzione di una tassa sulle transazioni degli investitori esteri non ha fermato gli afflussi di capitale né tantomeno l’apprezzamento della valuta». (riproduzione riservata)