di Carlo Giuro

Le manovre varate quest’estate dal Governo per fronteggiare la crisi finanziaria hanno introdotto numerose novità in ambito previdenziale, alcune delle quali poi non adottate (come quella del non conteggio del riscatto laurea e degli anni del servizio militare ai fini dell’accesso al requisito dei 40 anni di anzianità) sia per quel che riguarda il pilastro obbligatorio sia per la previdenza integrativa. Sono stati confermati invece gli interventi sull’età pensionabile delle donne nel settore privato.

 

Il primo pilastro. Giova ripercorrere i requisiti di pensionamento delle donne. Prima delle riforme di questa estate che hanno interessato l’età di accesso alla pensione di vecchiaia, per coloro che rientrano nell’applicazione dei metodi di calcolo retributivo e misto era necessario avere 60 anni di età e 20 di contributi (se la lavoratrice è invalida all’80% e per le lavoratrici non vedenti il requisito di età è di 55 anni).

Per la pensione di anzianità dal 1° luglio 2009 è entrato in vigore poi il cosiddetto sistema delle quote, in base al quale si consegue il diritto alla pensione al raggiungimento di una quota data dalla somma tra età anagrafica e contribuzione (almeno 35 anni di contributi). Le lavoratrici possono comunque continuare ad accedere al pensionamento di anzianità con 57 anni di età e 35 di contributi ma in questo caso si passa automaticamente dall’applicazione del metodo retributivo al contributivo (la pensione si riduce di circa il 20%).

La prima manovra di luglio era già intervenuta prevedendo, a partire dal gennaio 2020, un percorso graduale di innalzamento dell’età pensionabile di vecchiaia fino al 2032, con un aumento di cinque anni dei requisiti attualmente richiesti (si sarebbe cioè passati dai 60 ai 65 anni come attualmente previsti per gli uomini).

Il nuovo intervento correttivo di agosto anticipava tale percorso con il nuovo start up previsto dal 2016 e un approdo ai 65 anni nel 2028. L’emendamento approvato a settembre prevede invece un ulteriore anticipo di due anni del percorso che si attiverà ora nel 2014 per concludersi nel 2026. Il primo anno ci sarà un aumento dell’età di pensione di un mese, il secondo di due mesi e così via, mentre dal 2020 gli scatti saranno di sei mesi l’anno. Si rammenta che nel settore del pubblico impiego, con la legge 122/201, emanata per ottemperare alle previsioni della Corte di giustizia europea, è peraltro già in atto un percorso di progressiva equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne. Dal 1° gennaio 2011 infatti il requisito di pensionamento al femminile è stato innalzato a 61 anni con un gradone a 65 anni dal 1° gennaio 2012.

Per le donne contributive già in partenza vi è invece un solo tipo di pensione, senza distinzione tra vecchiaia e anzianità, per cui si richiedono invece 60 anni di età con almeno 5 anni di contribuzione (in precedenza uomini e donne potevano scegliere un’età compresa nel range 57-65 anni e a ogni età corrispondeva un differente coefficiente di trasformazione, più basso ad età più giovani, più elevato a salire). In alternativa sono richiesti almeno 35 anni di anzianità contributiva e l’età anagrafica prevista per la pensione di anzianità oppure almeno 40 anni di anzianità contributiva, a prescindere dall’età anagrafica.

Va poi ricordato che vanno anche considerate le disposizioni già in vigore sulle finestre uniche a scorrimento e l’indicizzazione automatica dell’età pensionabile alla speranza di vita in vigore dal 2013, disposizioni rivolte a tutti i lavoratori. Quali sono le riflessioni sull’innalzamento età pensionabile anche per le donne del settore privato? La disposizione appare sicuramente coerente con la longevità maggiore del gentile sesso. Non è però tutto oro quello che luccica. L’innalzamento dell’età pensionabile delle donne rischia di riflettersi sulla rete di protezione familiare anche perché tale intervento non sembra inserirsi in un disegno più ampio e organico di perfezionamento del sistema previdenziale italiano (sarebbe auspicabile, solo per fare un esempio, l’estensione del contributivo pro rata per tutti in ottica di riequilibrio generazionale), ma appare piuttosto una misura estemporanea dettata più dalla emergenza del momento che il frutto di una riflessione ponderata. È necessaria quindi l’apertura di un tavolo di riordino complessivo del welfare come annunciato da più parti.

 

Fondi in rosa. Qual è il rapporto donne/previdenza integrativa? Il tasso di partecipazione femminile ai fondi pensione è ancora ridotto. Secondo l’ultima relazione della Covip il tasso di iscrizione è infatti del 28% per gli uomini e del 24% per le donne e gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 65% del totale degli aderenti.

Quali sono nel concreto le possibilità? Il driver della scelta dipende dallo status della donna. Se è infatti lavoratrice dipendente del settore privato può accedere al fondo pensione negoziale per usufruire del contributo del datore di lavoro. Identico ragionamento vale per le dipendenti del settore pubblico laddove sia presente un fondo di comparto (ma al momento l’unico operativo è Espero del settore scuola). Nel caso del lavoro autonomo e libero professionale le soluzioni utilizzabili possono essere rappresentate dai fondi pensione aperti e dai pip con adesioni su base individuale. Nella fattispecie invece in cui la donna sia fiscalmente a carico (il caso classico è quello della casalinga) è utile in primo luogo rammentare come la normativa individui tra i destinatari della previdenza integrativa anche le casalinghe

Dal punto di vista pratico le opportunità a disposizione possono essere quella del fondo negoziale, quella dell’adesione al fondo pensione del coniuge se tale eventualità è contemplata dal relativo statuto, o ancora quella della adesione individuale. Partendo dalla prima possibilità, fino a qualche anno fa esisteva uno specifico fondo pensione di categoria, Fondo famiglia promosso da Federcasalinghe.

Il fondo è stato poi posto in liquidazione ed è confluito nel fondo pensione aperto Arca previdenza che si propone di diventare il veicolo previdenziale ad hoc conservando la possibilità di utilizzare il sistema della scontistica maturata nei diversi punti vendita (aziende e supermercati) convenzionati con l’associazione.

Per quanto riguarda invece la possibilità per la donna di iscriversi al fondo pensione negoziale del coniuge, dalla lettura della relazione Covip sul 2010 emerge che 11 organismi previdenziali hanno previsto l’ampliamento della platea di riferimento dando la possibilità anche ai familiari a carico dei dipendenti di aderire. Giova rammentare infine che anche in materia di previdenza integrativa, particolarmente per effetto dell’impulso comunitario, si va verso un percorso di uguaglianza uomo/donna.

È stato infatti fino all’11 luglio scorso in pubblica consultazione, e si è quindi in attesa di emanazione definitiva, il provvedimento Covip sulle «Disposizioni in ordine alla parità di trattamento tra uomini e donne nelle forme pensionistiche complementari». (riproduzione riservata)