Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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L’astensione decreta la bocciatura dell’ops di Mediobanca su Banca Generali. Questo è stato l’esito dell’assemblea che ieri ha stoppato l’operazione di creazione del polo italiano del wealth management su cui Piazzetta Cuccia puntava per contrastare l’offerta di Mps. Un piano che non era ben visto dal governo, che caldeggia invece la creazione di un terzo polo bancario attraverso le nozze fra Siena – rafforzata dal business commissionale di Mediobanca – e Banco Bpm e che ha dunque condizionato la partita. L’affluenza, in linea con le previsioni (77,9%), non è stata sufficiente a garantire la vittoria del sì, che ha totalizzato il 35% del capitale contro il 42% di contrari e, soprattutto, di astenuti (che hanno pesato come un no). Contrario all’operazione è stato solo Francesco Gaetano Caltagirone (9,9%), mentre il 32,1% del capitale ha optato per una neutralità apparente che di fatto è stata una scelta di campo. La compagine è composta da Delfin (19,8%), Edizione (2,2%), Unicredit (1,9%), le casse previdenziali (Enasarco, Enpam e Forense; al 5,5% in tutto) e investitori istituzionali come Amundi, Anima e Tages (al 3% complessivo).
Nessun passo indietro per Alberto Nagel. Nonostante la bocciatura assembleare dell’ops su Banca Generali, il ceo di Mediobanca ha confermato che resterà alla guida dell’istituto, smentendo le speculazioni che lo davano pronto a lasciare. Una scelta che punta a preservare la stabilità del titolo ma soprattutto a garantire la continuità nell’esecuzione del piano industriale. Nella nota diffusa ieri per annunciare i risultati del voto, Nagel ha chiarito la propria posizione: «Desidero ringraziare coloro che in questi anni hanno creduto e sostenuto il processo di crescita di Mediobanca e che hanno supportato l’operazione Banca Generali come definitivo tassello nella creazione di un wealth manager di respiro internazionale», ha commentato a caldo il banchiere.
La compagnia assicurativa olandese Aegon valuta la possibilità di trasferire la sede centrale e il domicilio legale negli Stati Uniti. Le attività statunitensi della società con sede nei Paesi Bassi rappresentano il 70% del suo giro d’affari. Un trasferimento renderebbe il Nyse la sede principale per le sue azioni, accanto alla quotazione ad Amsterdam (+6,9% a 6,925 euro ieri, sui massimi dal 10 aprile). «Allineare l’azienda al luogo in cui svolgiamo la maggior parte della nostra attività è logico e semplificherà l’organizzazione», ha sottolineato l’amministratore delegato, Lard Friese. Nel 2022 Aegon ha unito le sue attività olandesi con Asr Nederland in un deal da 4,9 miliardi di euro con l’intenzione di creare un attore leader nel mercato domestico.
Dopo quasi un mese dall’accordo orale in Scozia arriva la dichiarazione scritta di Usa e Ue sui dazi. Nessuna sorpresa: il testo resta fedele a quanto pattuito a voce da Donald Trump e Ursula von der Leyen. Quindi il tetto massimo del 15% si applicherà anche ad auto (tranne i suv), pharma e chip, più legname. Mentre i regolamenti sul digitale, Dma e Dsa, restano uguali nonostante le pressanti richieste della Casa Bianca per favorire big tech. Gli alcolici, ad esempio, sono rimasti fuori dai prodotti a regime speciale, quello della nazione più favorita, che prevede tariffe in media al 4,8%. Per il vino italiano, quindi, i dazi restano al 15%, così per le imprese del settore si prospetta in un anno un danno da 370 milioni secondo Unione vini. La quasi esenzione si applica invece agli aeromobili, ai farmaci generici e ai loro ingredienti chimici. La speranza è poi di accordarsi su un sistema di quote per acciaio e alluminio, che per adesso restano colpiti con il 50%.
Secondo trimestre dell’anno in chiaroscuro per il mondo delle imprese dell’Unione Europea: sono risultati infatti in crescita sia il numero di registrazioni (+4,6% rispetto primi tre mesi del 2025) che le dichiarazioni di fallimento (+1,7%). È quanto emerge da un’indagine condotta da Eurostat.

Chi l’avrebbe mai detto: l’Italia sta diventando una meta sempre più attraente per i super-ricchi. Negli ultimi anni, la cosiddetta «flat tax» introdotta per la prima volta nel 2017 ha spinto molti milionari stranieri a trasferirsi nel nostro Paese. In sostanza, chi decide di stabilirvi la residenza può pagare una tassa forfettaria di 200 mila euro all’anno sui redditi prodotti all’estero, più 25 mila euro per ogni familiare a carico. Il caso più recente, come riporta Il Fatto Quotidiano sulle proprie pagine, riguarda due ex manager della banca svizzera Pictet: Renaud de Planta e Bertrand Demole. La loro scelta di lasciare Ginevra per l’Italia ha suscitato scalpore in Svizzera. De Planta era uno dei dirigenti più importanti della banca, mentre Demole proviene da una famiglia storica di banchieri.
In dieci anni 400mila artigiani in meno: erano un milione e 770mila, mentre ora sono un milione e 370mila. Un 22% in meno che dice in modo chiaro e sintetico della crisi di vocazioni del settore, più grave in alcune regioni come Marche, Umbria, Abruzzo e Piemonte, ma che riguarda comunque altre aree che per il momento riescono ancora a tenere. La decrescita descritta dai dati della CGIA Mestre, d’altra parte, è costante e confermata dalla diminuzione del 5% (meno 72mila unità) nel 2024 rispetto al 2023. La causa principale, osserva Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano, è il calo demografico e una società che non orienta bene i giovani e, culturalmente, mette quasi in cattiva luce le professioni che comportano orari impegnativi.

Fino all’ultimo istante i produttori di vino made in Italy avevano sperato in un’esenzione del loro settore dai dazi degli Stati Uniti. Ma le speranze sono andate deluse e ora prevalgono delusione, preoccupazione per il futuro oltre alla stima dei possibili danni. Perché i vignerons italiani non confrontano l’attuale dazio del 15% con il 30% minacciato più volte da Donald Trump, né con il 10% introdotto nel Liberation Day dello scorso aprile dallo stesso presidente americano. Ma col 2,4% medio che era applicato sulle esportazioni di vino italiano negli Stati Uniti fino a pochi mesi fa. Il vino è il prodotto che, all’interno del settore agroalimentare italiano, registra il maggior fatturato negli Usa: circa due miliardi sugli otto totali. L’Italia è, in volume, il primo fornitore di vino degli Stati Uniti. Secondo l’Osservatorio dell’Unione italiana vini, il danno stimato per le imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi. Un ammanco che rischierebbe di salire a quota 460 milioni nel caso il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione.