Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

Molti lavoratori autonomi tedeschi, secondo un sondaggio dell’Ifo institute, non sono certi che la loro previdenza pensionistica garantirà il livello di vita attuale una volta raggiunta l’età della quiescenza. Il 46% dei lavoratori autonomi individuali e delle microimprese valuta infatti la propria previdenza come sufficiente. Quasi un terzo (32%) la ritiene insufficiente, mentre un ulteriore 22% non sa se sarà effettivamente sufficiente. Il sondaggio mostra che, in molti casi, i lavoratori autonomi adottano misure previdenziali ampie e intensive. Ad esempio, il 97% degli intervistati dispone di almeno un’opzione pensionistica e oltre tre quarti (78%) combinano addirittura diversi modelli. Sono particolarmente diffuse le forme d’investimento a capitale come fondi comuni, titoli o immobili, e i prodotti assicurativi come pensioni private o assicurazioni per invalidità. Inoltre, quasi la metà dei lavoratori autonomi ha diritto all’assicurazione pensionistica obbligatoria, essendo stati precedentemente coperti da copertura analoga.
Un’operazione anomala che rischia di complicare alternative più promettenti per il sistema finanziario italiano e, in particolare, per le Generali. Così Ignazio Angeloni, economista ed ex membro del Supervisory Board della Bce, critica la scalata del Montepaschi a Mediobanca alla vigilia dell’assemblea di Piazzetta Cuccia che deciderà sull’ops per Banca Generali.
Delfin si prepara a stringere la presa su Mps in vista della chiusura dell’offerta su Mediobanca e a poche ore dall’assemblea di Piazzetta Cuccia, chiamata a decidere sull’ops per Banca Generali. Secondo quanto riferito ieri da fonti finanziarie, lo scorso 12 agosto la Bce avrebbe autorizzato la holding della famiglia Del Vecchio a salire fino al 19,99% di Rocca Salimbeni. L’incremento della quota sarà l’effetto dell’adesione alla proposta di scambio di Siena a cui la cassaforte lussemburghese ha detto di sì proprio nei giorni scorsi. D

La usano milioni di consumatori ogni giorno, spesso rivolgendosi all’assistenza clienti di un’azienda. Ci parlano e ci interagiscono anche senza saperlo. Eppure sull’intelligenza artificiale generativa (acronimo inglese GenAI) esistono ancora miti da sfatare, a partire dalla convinzione di molte imprese che si tratti solo di una piattaforma utile a ridurre i costi. Partendo da questa osservazione, lo studio «Cutting through the noise: Early lessons from deploying GenAI to transform customer experience» (Eliminare il rumore di fondo: prime lezioni apprese dall’implementazione della GenAI per trasformare l’esperienza dei clienti), firmato da Boston consulting group (Bcg) e Konecta, azienda internazionale specializzata in soluzioni di customer experience, spiega sia perché la GenAI non serve solo ad abbattere i costi sia soprattutto perché «si riscontra un aumento della produttività tra il 15 e il 30% e un incremento del 40% nella conversione clienti, ma anche un netto miglioramento dell’esperienza per chi lavora nel customer center», sottolinea Luca Gatti, director e partner di Bcg.
Nei primi sei mesi del 2025 le app di intelligenza artificiale generativa, da ChatGpt a Gemini alla cinese DeepSeek, sono state scaricate 1,69 miliardi di volte a livello globale. La crescita è del 67% rispetto al secondo semestre del 2024. La spesa all’interno di queste applicazioni è stata invece di 1,9 miliardi di dollari, un totale più che raddoppiato. L’Italia non fa eccezione. Secondo i dati di Sensor Tower, i download nei primi sei mesi dell’anno sono stati 18,5 milioni, +26,7%, mentre la spesa è stata di 33 milioni, con un +160% sul semestre precedente. Si tratta principalmente di assistenti AI, ma anche di app specializzate nel creare contenuti (immagini, video, ecc.), funzione che però è sempre più integrata nei chatbot generali.
I cyberattacchi continuano a minare la sicurezza delle imprese italiane. I reati informatici denunciati dalle aziende sono aumentati del 45,5% tra il 2019 e il 2023, a fronte della crescita del 10% di tutti gli illeciti a danno dell’attività d’impresa. A lanciare l’allarme è Confartigianato che ha rilevato il trend di truffe, frodi e aggressioni online subite dagli imprenditori. In testa alle regioni più colpite ci sono la Toscana, dove gli episodi di cybercrime contro le aziende in 4 anni sono cresciuti dell’88,3%, il Veneto (+63,7%), le Marche (+56%), la Puglia (+54,7%), il Lazio (+53,2%), l’Emilia Romagna (+53%), Piemonte (47%), Lombardia (45,5%). In generale, i reati informatici rappresentano il 35,5% dei delitti contro le aziende e il 15,8% delle imprese, a fronte del 21,5% della media Ue, ha registrato almeno un incidente informatico con conseguenze come l’indisponibilità dei servizi Ict, la distruzione o la divulgazione di dati.
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I dispositivi smart sono facilmente attaccabili ma anche bambole e tablet Occorrono password sicure da cambiare spesso. Può capitare a tutti di essere spiati a casa tramite dispositivi smart. Videocamere connesse a Internet come nel caso di Stefano De Martino e della sua compagna, ma non solo. Anche aspirapolvere, baby monitor, tv e persino giocattoli per bambini. L’elenco di dispositivi a rischio “grande fratello” è lungo. E non serve essere una celebrità per finire nel mirino di “spioni” che possono usare questi apparati come cavalli di troia per ottenere video intimi o informazioni private su di noi. Per vari scopi, sicuramente non leciti e assai sgradevoli: rivendere i video, ricattarci, studiare le nostre abitudini per capire quando trovare la casa vuota e quindi derubarla. Ma ci sono anche finalità di marketing più subdole che spingono gli hacker a studiare chi siamo e che facciamo.
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