Lastrici e terrazze in condominio, gioie e dolori. Sono beni che si prestano a svariati utilizzi e che incrementano il valore degli edifici. Tuttavia le questioni legate all’assetto proprietario e la necessità di manutenzione, foriera di eventuale responsabilità per danni, ne rendono la gestione particolarmente delicata. Ma vediamo di approfondire l’argomento.
Funzione del lastrico solare e della terrazza a livello
Lastrico solare e terrazza a livello condividono con il tetto l’importante funzione di dare copertura ai piani sottostanti, riparandoli dalle intemperie e dagli agenti atmosferici.
Con il termine lastrico solare, utilizzato dal legislatore all’art. 1126 c.c., si intende infatti il piano di copertura dell’edificio, di regola non transitabile.
Quest’ultima è già una prima differenza tra lastrico e terrazza a livello che, invece, anche ove sia posta sulla sommità dell’edificio, è transitabile e costituisce di fatto un’estensione e un’integrazione dell’unità immobiliare a cui è annessa (ed ecco perché essa è il più delle volte di proprietà o di uso esclusivo di un singolo condòmino).
Ma la terrazza a livello può anche trovarsi ai piani intermedi, a seconda di quelle che sono le caratteristiche costruttive dello stabile condominiale.
In particolare, per terrazza a livello deve intendersi una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e funzionalmente, per cui deve ritenersi, per il modo in cui è stata realizzata, che essa sia destinata non solo e non tanto a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare la possibilità di espansione e di ulteriore comodo all’appartamento del quale è contigua, costituendo di esso una proiezione all’aperto.
Quindi la funzione di questi beni, ove transitabili in sicurezza, non è soltanto quella di dare copertura alle unità immobiliari sottostanti, ma anche di consentirne diversi utilizzi a chi ha il diritto di usufruirne, che siano i condomini o solo alcuni di essi o addirittura soggetti terzi (di qui la possibilità di utilizzarli come stenditoio o lavatoio, per prendere il sole o riposarsi sotto un ombrellone, per organizzare feste, per posare impianti tecnologici, ecc.).
La proprietà del lastrico solare e della terrazza a livello
Quanto detto pone subito una prima importante questione, ossia quella della proprietà di tali aree. Generalmente i lastrici solari sono di proprietà comune, mentre le terrazze a livello sono di proprietà o di uso esclusivo. In ogni caso, si tratta di una circostanza da appurare caso per caso.
Occorre prendere le mosse dall’art. 1117 c.c., disposizione chiave per individuare quali siano le parti comuni di un edificio condominiale. In particolare, secondo quanto stabilito dalla predetta disposizione, per stabilire quali siano i beni comuni di un edificio occorre prima di tutto esaminare quanto risulta dal titolo. L’art. 1117 c.c. dispone infatti che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio tutta una serie di beni, ivi elencati a titolo esemplificativo e non esaustivo, a condizione che non risulti il contrario dal titolo.
In generale, affinché possa operare detta presunzione di comproprietà, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l’edificio, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Di conseguenza, nei casi in cui un determinato bene, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, serva al godimento delle parti singole dell’edificio condominiale, si presume la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso.
D’altro canto questa presunzione può appunto essere vinta soltanto da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere indicata e dimostrata dal condomino che rivendichi proprietà esclusiva del bene. Deve trattarsi di un atto scritto, come ad esempio l’atto costitutivo del condominio, ossia il primo atto di trasferimento di una porzione immobiliare dall’originario proprietario dell’intero edificio al primo acquirente, ovvero di un regolamento condominiale c.d. contrattuale, in quanto predisposto dal costruttore e accettato da tutti i condomini o successivamente approvato all’unanimità in assemblea. Ma il titolo contrario può essere anche rappresentato dall’usucapione di una parte comune. Di questo si parlerà meglio anche più avanti.
I possibili utilizzi del lastrico solare e della terrazza a livello di proprietà comune
Come si anticipava sono numerosi gli utilizzi che possono farsi del lastrico solare e della terrazza a livello, qualora detti beni siano di proprietà condominiale. In questo caso, per contemperare gli interessi di tutti i condomini, occorre quindi fare applicazione dell’importante principio di diritto di cui all’art. 1102 c.c..
a)Il principio di diritto di cui all’art. 1102 c.c.
Qualora si tratti di un bene condominiale, quindi appartenente a tutti i condomini, oltre alla funzione di copertura dei piani sottostanti, il lastrico solare o la terrazza a livello si presterà a vari utilizzi, la cui legittimità sarà come al solito da scrutinare in base al principio generale di cui all’art. 1102 c.c..
Occorre però evidenziare come nel caso del lastrico solare, ovvero, come anticipato in precedenza, della superficie piana non circondata da ringhiere, per ovvie ragioni di sicurezza dovranno essere evitati quegli utilizzi che possano mettere in pericolo i condomini e, anzi, l’amministratore, quale gestore e garante della sicurezza delle parti comuni, dovrà vietarne l’accesso, qualora non vi sia nemmeno un parapetto che possa impedire la caduta accidentale. A questo proposito occorre evidenziare che l’installazione di una ringhiera o di un parapetto sul lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali, ad esempio un cortile, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui, bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento del bene.
In questi casi, come detto, salvo utilizzi previsti e disciplinati (o vietati) dal regolamento condominiale, si farà ampia applicazione del principio di cui all’art. 1102 c.c..
Dettata in materia di comunione, ma applicabile analogicamente anche al condominio negli edifici, la norma di cui all’art. 1102 c.c. è una di quelle disposizioni generali che svolge un ruolo sempre più importante nel continuo processo di adeguamento della disciplina condominiale alla mutata realtà sociale e alle nuove esigenze abitative. L’articolo in questione, rubricato come “uso della cosa comune”, dispone che ciascun partecipante possa servirsi del bene comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il proprio diritto. A tal fine, si specifica, ciascun partecipante può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa, ma non può estendere il suo diritto su di essa in danno degli altri partecipanti, a meno che ponga in essere atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Grazie a questa disposizione, come si diceva, si può affermare con certezza che le parti comuni, lungi dall’essere qualcosa di immodificabile, possano invece essere utilizzate dai condomini, senza ovviamente mutarne la destinazione, in tutti i modi in cui sia possibile per questi ricavarne una qualche utilità personale. Le applicazioni concrete di questa norma sono innumerevoli e sicuramente quella di maggiore significato sociale riguarda la giurisprudenza formatasi in tema di superamento delle c.d. barriere architettoniche, con particolare riguardo alla possibilità di installare un impianto di ascensore anche senza passare dall’autorizzazione dell’assemblea condominiale.
Se si spulcia la giurisprudenza per individuare alcuni esempi, si scopre che ad esempio è stato ritenuto legittimo l’utilizzo del lastrico solare per la collocazione di un recipiente di raccolta, così come per la posa di un tubo d’acqua potabile, da parte di un condominio al servizio del proprio appartamento. Maggiori contrasti sono sorti invece relativamente all’utilizzo del lastrico solare comune per l’inserimento di una canna fumaria al servizio esclusivo dell’unità immobiliare di un condomino. In questo caso, secondo alcuni giudici, si tratterebbe dell’occupazione di una zona periferica, ovvero di una parte del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, tanto da potersi escludere che detta utilizzazione particolare ostacoli la funzione di copertura e calpestio del lastrico, così come la possibilità di usarlo da parte degli altri comproprietari. Al contrario, secondo altri precedenti, questa condotta non sarebbe coperta dall’art. 1102 c.c., perché le opere in tal modo realizzate potrebbero pregiudicare la funzione di copertura del lastrico solare comune, oltre a produrre delle immissioni di calore a danno delle proprietà sottostanti.
b)L’installazione di un’antenna per la ripetizione del segnale di telefonia cellulare
Un caso che capita molto spesso è quello dell’utilizzo del lastrico solare comune per l’installazione di un’antenna per la ripetizione del segnale di telefonia cellulare. Si tratta di un’ipotesi appetita da molti condomini, per i notevoli guadagni che ne possono derivare a seguito dell’imposizione di un canone all’impresa di telefonia, ma che al contempo desta parecchi timori, per via dei forti dubbi per i rischi alla salute che potrebbero essere causati dalle onde elettromagnetiche prodotte da tali impianti.
La giurisprudenza, relativamente alle condizioni necessarie per rendere lecito l’utilizzo del lastrico solare da parte di un terzo, è stata comunque molto rigorosa, ritenendo necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini. Più di recente però la Suprema corte, a sezioni unite, ha facilitato l’installazione dei ripetitori delle antenne cellulari sui tetti e sui lastrici solari, specificando che il contratto con cui un condomino concede all’impresa di telecomunicazioni lo spazio comune per l’apposizione dell’impianto, senza attribuzione del diritto di superficie, non richiede l’approvazione da parte di tutti i condomini, a meno che esso abbia una durata superiore ai nove anni, essendo quindi sufficiente una delibera a maggioranza (sentenza n. 8434 del 30 aprile 2020).
Nella specie le sezioni unite hanno dapprima esaminato la questione se un’opera del genere debba essere considerata o meno una innovazione e, quindi, se debbano o meno applicarsi i divieti di cui all’art. 1120 c.c. (stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell’edificio). Da questo punto di vista è stato però sottolineato come l’ancoraggio dell’impianto al tetto o al lastrico solare venga realizzato non su disposizione, a spese e nell’interesse del condominio, bensì su disposizione, a spese e nell’interesse del terzo cessionario del godimento del lastrico, ovvero della società di telefonia. Non si tratta, in altri termini, dell’installazione, a opera del condominio, di un impianto destinato all’uso comune, ma della costruzione, a opera e spese di un terzo, di una tecnologia destinata al proprio utilizzo esclusivo. Per questo motivo, secondo la Cassazione, in casi del genere non si può parlare di un’innovazione.
I giudici di legittimità si sono quindi interrogati sulla qualificazione giuridica del contratto con il quale il concedente può assegnare alla società telefonica il diritto di utilizzare una parte del tetto o del lastrico solare per l’installazione dell’impianto. E’ stato quindi evidenziato come siano in astratto legittimamente utilizzabili sia lo schema del contratto a effetti reali, sia quello del contratto obbligatorio, simile alla locazione. Le differenze pratiche che discendono dai due diversi inquadramenti sono però numerose e importanti.
Nel primo caso verrebbe attribuito al terzo proprietario dell’impianto un diritto di superficie sulla parte comune, valevole per un tempo determinato, nel quale si potrebbe derogare alla disposizione legale per cui all’estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo lo diventa anche della costruzione. Tale soluzione comporterebbe però l’acquisizione della natura di condomino in capo alla società telefonica, in quanto il diritto di godimento in tal modo attribuito sarebbe un diritto reale, con tutte le conseguenze del caso (in primis il necessario rifacimento delle tabelle millesimali). In questo caso sarebbe inoltre imprescindibile l’unanimità dei consensi (art. 1108 c.c.). Nella seconda ipotesi, invece, il contratto, pur sempre finalizzato a consentire al terzo l’installazione del ripetitore e la possibilità di rimuoverlo al termine del rapporto, si viene a configurare come un negozio atipico di concessione ad aedificandum a effetti obbligatori, simile alla locazione, con conseguente applicazione tanto della disposizione di cui all’art. 1599 c.c., in tema di opponibilità del contratto al terzo acquirente, quanto di quella di cui all’art. 2643, n. 8, c.c., in tema di trascrizione dei contratti di locazione immobiliare di durata superiore ai nove anni. In questo caso, qualora la durata sia inferiore a tale termine, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione, per i giudici di legittimità sarebbe sufficiente una delibera adottata con la maggioranza semplice in seconda convocazione di cui all’art. 1136, comma 3, c.c., ovvero dalla maggior parte dei presenti all’assemblea che rappresenti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio.
Circa l’applicabilità a questo tipo di contratto della disciplina di cui all’art. 1599 c.c., la Suprema corte ha ulteriormente specificato quanto segue. La norma in questione dispone che colui che acquista un bene immobile il quale sia già stato concesso in locazione è obbligato a continuare il rapporto contrattuale in essere, verificandosi una ipotesi di cessione legale del contratto, con la prosecuzione dell’originario negozio e l’assunzione, da parte dell’acquirente, della stessa posizione del locatore. E questo vale sia per la pattuizione relativa alla concessione dell’occupazione del tetto o del lastrico solare sia per quella che consenta alla compagnia di telecomunicazioni, al termine del rapporto, di recuperare l’impianto di cui rimane proprietaria. D’altra parte il disposto del primo comma dell’art. 1593 c.c., che attribuisce al locatore il diritto di appropriarsi delle addizioni eseguite dal conduttore, non ha carattere imperativo e può quindi essere contrattualmente derogato. Occorre poi considerare anche che la locazione, nel cui ambito applicativo si è già detto che può essere fatto rientrare il contratto in questione, costituisce titolo idoneo a impedire l’accessione. Il principio per cui le opere realizzate dal terzo con materiali propri su suolo altrui vengono acquisite dal proprietario del terreno trova infatti applicazione solo nel caso in cui il costruttore possa effettivamente considerarsi soggetto terzo, per non essere legato al primo da alcun vincolo contrattuale.
c)L’installazione di pannelli solari
Un altro utilizzo del lastrico solare di particolare rilievo è poi quello dell’installazione dei pannelli solari per la produzione di energia in favore dell’intera collettività condominiale (impianto comune) o soltanto di alcuni condomini (impianti privati). Da quest’ultimo punto di vista una non troppo datata giurisprudenza aveva ritenuto illecita l’apposizione sul lastrico comune di ingombranti pannelli solari a uso di un solo condomino, in quanto gli stessi avrebbero ridotto la possibilità di utilizzo del bene comune da parte degli altri comproprietari.
Sul punto occorre però considerare la novità normativa di cui all’art. 1122-bis c.c., introdotto dalla legge di riforma del condominio del 2012, che ora consente l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinate al servizio di singole unità immobiliari sul lastrico solare. Di conseguenza, come chiarito anche in alcune pronunce di merito, l’assemblea non può vietare al condomino di utilizzare le parti comuni per la posa di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica a uso esclusivo del proprio appartamento. Gli altri comproprietari, infatti, possono tutto al più deliberare con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1122-bis c.c. di prescrivere al condomino delle modalità alternative per la realizzazione dell’opera o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio condominiale. Il condomino interessato alla costruzione dell’impianto può quindi limitarsi a manifestare tale sua intenzione all’amministratore, informandolo del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione dell’intervento.
La disposizione di cui all’art. 1122-bis c.c., che a prima vista può apparire singolare nella cornice del diritto condominiale, deve essere infatti interpretata alla luce dei criteri generali di utilizzo dei beni comuni di cui all’art. 1102 c.c.. Fermo lo schema procedimentale previsto dal citato art. 1122-bis c.c. – dovere del condomino di informare preventivamente l’amministratore, il quale a sua volta riferisce all’assemblea – è stato efficacemente messo in rilievo come l’organo assembleare esorbiti dalle proprie competenze laddove si arroghi il diritto di vietare tout court al condomino di realizzare un intervento del genere. Anche perché il legislatore ha comunque previsto la possibilità che l’assemblea, a maggioranza qualificata, possa tutelare le parti comuni sia prescrivendo al condominio modalità alternative di realizzazione dell’impianto sia imponendogli ulteriori cautele a salvaguardia dell’edificio condominiale sia subordinandone l’esecuzione alla prestazione di idonea garanzia per i danni eventuali.
In ogni caso, qualora l’installazione degli impianti richieda necessariamente modificazioni delle parti comuni, l’interessato deve darne comunicazione all’amministratore, indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. Se si presume che, nella quasi totalità dei casi, il condomino non sia un tecnico, questa comunicazione dovrebbe essere accompagnata da una relazione tecnica che evidenzi quanto prescritto dalla norma. La stessa ha quindi lo scopo di permettere all’amministratore e all’assemblea di evidenziare all’interessato un eventuale intervento sostitutivo rispetto a quello preventivato di contenuto meno invasivo per le parti condominiali coinvolte. L’assemblea può quindi intervenire e imporre, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio. L’assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l’installazione dei pannelli alla prestazione, da parte dell’interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.
Uno degli aspetti più problematici dell’installazione da parte del singolo di pannelli solari (fotovoltaici o solare termico) sul tetto o su altre parti comuni riguarda la necessità di garantire, ai sensi dell’art.1102 c.c., il pari utilizzo agli altri condomini.
Certo è che non è possibile occupare in via permanente tutta o quasi il lastrico o il cortile o il tetto. Per questo motivo è tecnicamente impossibile, ad esempio, che in un palazzo di 10 piani tutti i condomini possano utilizzare il tetto per posare i propri pannelli solari in quanto lo spazio non è sufficiente. In altre parole, ciascun comproprietario potrebbe avere interesse a installare pannelli per produrre energia, ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più impianti, ecc.. Dette eventualità fanno sì che la disponibilità dell’installazione non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i condomini.
In effetti è vero che il singolo condomino può usare la cosa comune a suo piacimento, secondo le proprie necessità e convenienze, e nella sua interezza, indipendentemente dal fatto che sia titolare di un piccolo o grosso appartamento, ma ciò non deve però danneggiare gli altri condomini. In quest’ottica è molto importante quanto affermato dalla legge n. 2020/2012, la quale prevede che l’assemblea, a richiesta degli interessati, proceda a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto, che si potranno eventualmente comprimere, ma non sopprimere del tutto.
La proprietà e l’uso esclusivo del lastrico solare e della terrazza a livello.
Può anche capitare che il titolo di cui all’art. 1117 c.c., di cui abbiamo parlato in precedenza, assegni la proprietà del lastrico solare a uno o più condomini in particolare. In questo caso, pur fungendo da copertura delle unità immobiliari sottostanti, il bene sarà di proprietà privata e potrà essere quindi utilizzato solo dai titolari e dai loro aventi causa.
Può darsi però anche il caso che il predetto titolo, pur mantenendo la proprietà in capo a tutti i condomini, ne assegni l’uso soltanto a uno o più condomini, che potranno quindi legittimamente impedire agli altri comproprietari di farne pari uso, derogando al noto principio di cui all’art. 1102 c.c.. In questi casi si parla di uso esclusivo.
Secondo un recente studio del Consiglio nazionale del notariato (n. 30-2021/C), che si è occupato di esaminare gli effetti pratici derivanti dalla sentenza n. 28972 del 17 dicembre 2020, con cui le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ribaltato l’orientamento seguito in passato in materia, l’uso esclusivo non può essere inquadrato come un diritto reale atipico, essendo ciò precluso dal principio del numero chiuso e della tipicità dei diritti reali. Caso per caso, per consentire alla clausola contrattuale o regolamentare di essere produttiva di effetti, occorrerà quindi verificare se le parti abbiano inteso costituire un diritto reale d’uso tipico, un usufrutto o una servitù, piuttosto che un diritto di natura obbligatoria, ovviamente a condizione che sussistano i presupposti volta per volta richiesti dalla legge.
Le sezioni unite erano state interessate del problema della natura del c.d. diritto reale di uso esclusivo di parti comuni dell’edificio condominiale, fattispecie diffusa nella prassi e sul quale si era registrato un contrasto interpretativo tra le sezioni semplici. Con sentenza n. 24301/2017 si era ritenuto che un vincolo siffatto, riconosciuto in favore di una proprietà individuale, fosse meritevole di tutela quale espressione dell’autonomia privata e che sarebbe stato tendenzialmente perpetuo e trasmissibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare. Detta interpretazione era stata ripresa nelle successive decisioni di legittimità, fino a che una più recente decisione aveva invece escluso che potesse ipotizzarsi la costituzione di un uso reale atipico (sentenza n. 193/2020). Come efficacemente rilevato dalla Suprema corte, già il solo parlare di diritto reale di uso esclusivo di una parte comune genererebbe un vero e proprio ossimoro, perché metterebbe insieme concetti contrastanti, laddove si vorrebbe coniugare l’esclusività dell’uso del bene da parte di un solo condomino con l’appartenenza di esso a più comproprietari. La questione della natura giuridica dell’uso esclusivo ha posto quindi sul tappeto una serie di problematiche di rilevante impatto pratico: a) se e come il diritto di uso esclusivo di una parte comune possa armonizzarsi con la regola basilare di cui all’art. 1102 c.c. e posta a presidio del diritto di pari uso di tutti i comproprietari; b) se l’attribuzione a un condomino di un diritto di uso esclusivo, al di là delle formule, spesso ambigue, utilizzate nella prassi quotidiana, non nasconda in realtà l’attribuzione al medesimo della proprietà esclusiva sul bene comune; c) se il diritto di uso esclusivo abbia natura di diritto reale atipico o sia riconducibile a una delle figure tipiche di diritto reale di godimento, ovvero se costituisca un diritto di credito. Nel prendere posizione sulla questione, le sezioni unite, sulla base di un’ampia e articolata motivazione, si sono richiamate al tradizionale principio del numero chiuso e della tipicità dei diritti reali, bocciando quindi la tesi che una nuova tipologia di diritto reale possa sorgere semplicemente per accordo delle parti (o per disposizione del regolamento condominiale).
Che accade allora del titolo negoziale con cui si sia voluto attribuire a un condomino un potere del tutto particolate sulle parti comuni? Volta per volta, come evidenziato dalle sezioni unite della Cassazione, occorrerà indagare la reale volontà delle parti, in modo che, ove possibile, siano garantiti gli effetti che le stesse volevano raggiungere. Si tratta di un’idea condivisa anche dal Consiglio del notariato nel recente studio n. 30-2021/C. Il notaio al quale venga chiesto di ricevere un negozio di questo tipo dovrà quindi indagare su quale sia l’intento delle parti per determinare, tra le possibili soluzioni prospettate, quella che meglio riesca a realizzarle. In alcuni casi potrà aversi costituzione di un vero e proprio diritto reale di usufrutto o di uso, ove ne sussistano i presupposti e, naturalmente, con le conseguenze del caso. Altre volte, anche se le sezioni unite della Cassazione sembrerebbero averlo escluso, si potrà trattare di una servitù prediale costituita sul bene comune in favore del fondo dominante costituito dalla proprietà esclusiva del condòmino. Ad esempio, secondo il notariato, il diritto riconosciuto al singolo comproprietario di parcheggiare un’auto in un’area appositamente delineata del cortile comune, oppure di posteggiarvi quando questo fosse precluso agli altri condòmini, può essere annoverato tra le servitù prediali, mentre lo stesso non si potrebbe dire se gli fosse riconosciuto il diritto di utilizzare quella parte del cortile a suo piacimento oppure se gli fosse genericamente riconosciuto di parcheggiarvi l’auto, quando quel diritto spettasse pure agli altri condòmini.
Anche il regolamento condominiale c.d. contrattuale, nel disciplinare le modalità d’uso dei beni comuni, può riconoscere a uno dei comproprietari il diritto di fruirne in via esclusiva. Si pensi al caso in cui venga attribuito a ciascuno dei partecipanti di utilizzare in via esclusiva una porzione della cosa comune, come avviene ad esempio nella fattispecie oggi disciplinata dall’art. 1122-bis, comma 3, c.c. relativamente all’installazione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili al servizio delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Analogamente è prospettabile una ripartizione cronologica del godimento, secondo un sistema turnario. I beneficiari del diritto potranno essere individuati già nella clausola regolamentare oppure potranno essere individuabili mediante clausole che consentano a tutti prima o poi di fruirne. Resta infine la possibilità di qualificare il negozio come attributivo di diritti personali di godimento. Tuttavia, come indicato dal notariato, questo effetto può prodursi esclusivamente sulla base di una locazione o di un comodato.
L’usucapione del lastrico solare
Per l’usucapione del lastrico solare non basta dimostrare che gli altri condomini non abbiano mai usato il bene negli ultimi 20 anni, ma occorre fornire la prova di avere tenuto in tale periodo e ininterrottamente una condotta tale da rendere chiara all’esterno la volontà di usare il medesimo come proprietario, escludendo tutti gli altri da qualsiasi utilizzo contemporaneo.
E’ importante evidenziare che il lastrico solare e il terrazzo si presumono di proprietà comune, giusto il disposto di cui all’art. 1117 c.c., che indica quelle parti dell’edificio che, per loro natura o funzione tecnica, sono solitamente di proprietà collettiva, salvo che il contrario risulti da un titolo. Il lastrico solare è infatti un bene che svolge una funzione di utilità comune a tutti i condomini, in quanto assicura la copertura dell’edificio. Nondimeno, come previsto dall’art. 1117 c.c. e come chiaramente emerge dal regime delle spese di riparazione e ricostruzione di cui al ricordato art. 1126 c.c., ne è configurabile un uso esclusivo, anche di una porzione, al quale la giurisprudenza ormai consolidata ha assimilato l’ipotesi in cui il lastrico sia anche di proprietà esclusiva.
Poiché il lastrico solare si presume di proprietà comune, spetta al soggetto che pretenda di esserne proprietario esclusivo fornire la prova del titolo in base al quale è possibile superare la presunzione di legge. Volta per volta detto soggetto dovrà quindi esibire il contratto di compravendita, il testamento, l’atto di donazione, la sentenza, ecc. ecc., in base al quale potrà dimostrare di essere proprietario del bene.
Accanto al titolo esiste però un’altra modalità di acquisto originario del lastrico solare o terrazzo, si tratta dell’usucapione. Con questo risalente istituto si può infatti attribuire rilevanza giuridica anche al possesso del bene continuato nel tempo. Se un soggetto ha posseduto un bene per un certo periodo di tempo comportandosi a tutti gli effetti da proprietario, ovvero utilizzandolo in maniera esclusiva e facendone proprie tutte le utilità che esso produce, vietando a qualsiasi altra persona di compiere analoghe attività e senza che nessuno abbia mai contestato detta situazione di fatto, l’ordinamento giuridico ritiene corretto attribuirgli a titolo originario la proprietà del bene, ove il medesimo ne faccia richiesta in sede giudiziaria. L’usucapione è quindi un modo di acquisto della proprietà e per i beni immobili è necessario che la situazione di fatto sopra descritta si sia protratta per almeno 20 anni.
Anche la proprietà del lastrico solare può quindi essere acquistata per usucapione, dovendosi ritenere superata l’affermazione risalente secondo cui esso non sarebbe usucapibile in quanto non potrebbero essere soppresse le utilità tratte dagli altri partecipi alla comunione per effetto della connaturata destinazione di copertura del fabbricato. È vero, al contrario, che l’utilità che tutti i condomini ricavano dal lastrico solare per la sua connaturata funzione di copertura non costituisce una facoltà connessa al diritto di proprietà, ma deriva per così dire dal bene in sé, mentre sono altri i benefici, questi sì corrispondenti ad altrettante facoltà connesse alla proprietà e coincidenti con il godimento del bene, che possono rilevare ai fini dell’usucapione.
Per usucapire un lastrico solare non ci si può però limitare a provare in giudizio il semplice non uso di esso da parte degli altri condomini, perché il diritto di comproprietà non si prescrive. La Suprema corte ha infatti ricordato come il condomino che deduca di avere usucapito il bene sia chiamato a provare di averla sottratto all’uso comune per il periodo previsto dalla legge, dovendo quindi dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituita da atti univocamente rivolti contro i compossessori e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di possedere il bene come unico proprietario.
L’utilizzo di una parte del tetto per ricavarne una c.d. terrazza a tasca
Anche laddove non vi sia una terrazza, il proprietario dell’ultimo piano, con un po’ di fantasia, può ricavarne una dal tetto. Il condomino proprietario del piano sottostante al tetto dell’edificio può infatti realizzare una terrazza c.d. a tasca di proprio uso esclusivo, a condizione che la modificazione del bene comune preservi la sua funzione di copertura e protezione delle strutture esistenti. Si tratta di una possibilità ribadita anche di recente dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 290 del 7 gennaio 2022).
Le parti comuni, come nella specie il tetto dell’edificio condominiale, non vanno quindi intese come un qualcosa di intangibile e immodificabile. Al contrario, giusto il principio generale di cui all’art. 1102 c.c., ogni condomino può attingere da esse la maggiore utilità possibile, ovviamente nei limiti in cui ciò non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne pari uso. Grazie a questa disposizione si può affermare che le parti comuni, lungi dall’essere qualcosa di immodificabile, possano invece essere utilizzate dai condomini, senza ovviamente mutarne la destinazione, in tutti i modi in cui sia possibile per questi ricavarne una qualche utilità personale.
Anche l’ipotesi della trasformazione del detto in terrazzo a uso esclusivo del condomino proprietario dell’ultimo piano rende bene il concetto che sta alla base della disposizione di cui all’art. 1102 c.c.. Il tetto dell’edificio in condominio, infatti, è sicuramente un bene di proprietà comune, quindi appartenente a tutti i condomini. La sua funzione è chiaramente quella di offrire una copertura alle unità immobiliari sottostanti. E’ questa, a ben vedere, l’utilità che tutti i condomini hanno diritto di ricevere dal tetto e che ne giustifica la comproprietà. Trattasi, come detto, di funzione necessaria, di cui gli appartenenti alla compagine condominiale non potrebbero mai essere legittimamente privati per volontà di uno o più condomini.
Tuttavia dal tetto è anche possibile ricavare delle utilità diverse e ulteriori rispetto alla sua funzione tipica di copertura. Può trattarsi di utilità destinate sempre a tutti i condomini, essendo quindi necessaria la previa autorizzazione assembleare (si pensi ad esempio all’installazione di impianti pubblicitari o di antenne telefoniche di proprietà di soggetti terzi, dalle quali il condominio può ricavare degli introiti). Ma dette utilità possono riguardare anche soltanto alcuni condomini o, addirittura, uno solo di essi. Esempio tipico, come si diceva, è proprio quello della trasformazione del detto in terrazzo a uso esclusivo del condomino proprietario dell’ultimo piano. In questo caso è evidente come il vantaggio di tale modificazione della parte comune venga goduto da un solo condomino. Questo risultato, che sembrerebbe a prima vista contrario ai principi che regolano il condominio, è in realtà giustificato, ai sensi dell’art. 1102 c.c., proprio dal fatto che l’utilità esclusiva in tal caso assicurata al condomino dell’ultimo piano non contrasta con l’utilità collettiva derivante dalla destinazione del tetto a copertura del fabbricato. Al contrario, esse possono coesistere, garantendo al contempo che il bene comune svolga la sua funzione tipica e fornisca ulteriore e diversa utilità a uno o più condomini. D’altra parte, anche ove il tetto o una parte di esso siano eliminati e trasformati in terrazza, è evidente come questa modificazione del bene comune, a condizione che siano state rispettate determinate tecniche costruttive, consente comunque di continuare a proteggere le unità immobiliari sottostanti dagli agenti atmosferici.
Come evidenziato dalla Corte di cassazione, il proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.
In primo luogo occorre che la sostituzione del tetto con il terrazzo consenta comunque quella funzione di copertura e protezione degli immobili sottostanti, rendendo quindi necessario seguire determinate regole tecniche di costruzione. Come ricordato dalla Suprema corte, ogni forma di uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., la legittimità della trasformazione di parte del tetto condominiale in terrazza postula altresì che non risulti arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Le opere di trasformazione non devono quindi mettere a rischio la stabilità e la sicurezza dell’edificio e devono risultare coerenti con la linea architettonica dell’edificio.
La ripartizione delle spese del lastrico solare e della terrazza a livello
Secondo l’art.1126 c.c., quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo o la proprietà sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni, mentre gli altri due terzi si dividono per millesimi tra tutti i condomini che ne ricevono copertura.
Più nel dettaglio, la quota di un terzo va attribuita interamente a chi utilizza il lastrico solare. Nel caso in cui i titolari del diritto di godimento esclusivo siano più di uno, fra questi andrà effettuato un’ulteriore ripartizione che tenga presente la quota di comproprietà di tale diritto esclusivo. Ai fini del riparto della quota dei restanti due terzi bisogna invece evidenziare come l’obbligo di concorrere a tale onere non deriva dalla sola qualità di partecipante al condominio, quanto piuttosto, come evidenziato dalla giurisprudenza, dal fatto di essere proprietario di un’unità immobiliare compresa nella colonna d’aria sottostante al lastrico solare o alla terrazza a livello oggetto della riparazione. La Cassazione ha anche chiarito che ove il proprietario o il titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico sia anche proprietario di un’unità immobiliare sottostante a esso, lo stesso dovrà contribuire per un terzo nella spesa di riparazione e poi concorrere nei restanti due terzi di essa con i proprietari delle altre unità immobiliari sottostanti.
Altro caso particolare è poi quello in cui le unità immobiliari sottostanti al lastrico solare o alla terrazza a livello siano coperte soltanto in parte da esso. Si pensi ad esempio all’unità immobiliare composta di quattro camere, di cui soltanto due sottostanti al lastrico solare o alla terrazza a livello. In questi casi, secondo una decisione abbastanza recente della Corte di cassazione (n. 1451 del 2014) non sarebbe equo, ai fini del riparto delle spese di riparazione, non tenere conto di detta situazione e parificare un appartamento del genere a uno interamente coperto dal lastrico solare o dalla terrazza a livello.
I giudici di legittimità hanno quindi affermato che per il riparto delle spese dei due terzi fra tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, il concorso nella suddetta quota deve determinarsi avendo riguardo al valore dell’unità immobiliare compresa nella colonna sottostante al lastrico, non già all’intero valore millesimale attribuito all’unità immobiliare anche per la parte che non trae utilità della copertura, fermo restando l’obbligo di contribuire alla spesa per un terzo quale utente esclusivo del lastrico al livello della parte superiore dell’appartamento. In altre parole si deve procedere a una ripartizione basata sulle quote millesimali delle porzioni di piano coperte, seppure opportunamente rapportata alla quantità di superficie posta realmente al di sotto del lastrico solare.
Vi è poi l’ulteriore possibilità che il lastrico solare copra non solo unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma anche aree comuni, ovvero di pertinenza condominiale (si pensi al locale portineria o all’androne, ecc.). In questo caso la soluzione può essere duplice: o i condomini partecipano indistintamente con i loro millesimi per il solo fatto che traggono un parziale indiretto vantaggio dalla copertura di parti comuni oppure occorre renderli partecipi in quota proporzionale all’incidenza della copertura sulle parti comuni. Quest’ultima è la soluzione che pare preferibile. Ne consegue che deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le proprietà comuni e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell’incidenza di tali parti.
La norma sopra menzionata si applica esplicitamente soltanto ai lastrici solari, ma in detta espressione si comprendono anche le terrazze a livello, allorché le stesse costituiscano la copertura (anche parziale) dell’edificio. Del resto la terrazza a livello, anche se di proprietà o di uso esclusivo di un singolo condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell’edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Di conseguenza per entrambe le coperture i lavori di rifacimento devono essere divisi secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c. che, come detto, non trova però applicazione per tutte le parti di cui si compone un lastrico o in alcune situazioni nelle quali la responsabilità per l’omessa ristrutturazione grava sul condomino che utilizza in via esclusiva la superficie dei lastrici o terrazze a livello.
Merita però di essere precisato che se la terrazza a livello è parzialmente aggettante, per cui una parte di essa si protende nel vuoto, ovvero al di là del contorno del fabbricato, non si può fare applicazione integrale dell’art. 1126 c.c. E questo perché la parte in aggetto della terrazza altro non può considerarsi che un ampliamento, al di là del muro perimetrale del caseggiato, del piano di calpestio dell’unità immobiliare cui la terrazza è annessa, con assenza di qualsiasi vantaggio per i proprietari dei locali sottostanti. Dal punto di vista pratico sarà quindi necessario separare dalla somma complessiva della spesa per eventuali interventi di manutenzione le due diverse porzioni di superficie, rispettivamente coperta e aggettante, al fine di ricavare la relativa quota-parte da ripartire in base al criterio di cui all’art. 1126 c.c., mentre le spese di riparazione della parte in aggetto rimarranno a carico esclusivo del proprietario.
Le spese da dividere secondo l’art. 1126 c.c. sono, in primo luogo, quelle di manutenzione, relative cioè a quegli interventi sulle parti di lastrico deteriorate dall’uso esclusivo ma in ogni collegate alla funzione di copertura dei piani sottostanti (la pavimentazione) e le spese di ricostruzione, cioè i diversi interventi che incidono sugli elementi strutturali del lastrico solare (quali ad esempio il solaio portante, la guaina impermeabilizzante, ecc.). Inoltre, tra le spese regolate dall’art. 1126 c.c. rientrano anche quelle relative agli strati termoisolanti o alle strutture su cui poggiano tali strati. Ma la disposizione in questione riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cioè del manto impermeabilizzato, ma altresì quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via consequenziale e strumentale, quali le spese per il trasporto e la discarica dei detriti.
Sono invece escluse dalla ripartizione ex art. 1126 c.c. le spese attinenti a quelle parti del lastrico solare del tutto avulse dalla funzione di copertura, come le spese attinenti ai parapetti o alle ringhiere, collegate alla sicurezza del calpestio. Tuttavia esse possono risultare comprese nelle spese previste dall’art. 1126 c.c. nel caso che il rifacimento dei parapetti sia stato determinato esclusivamente dai lavori di rifacimento del lastri¬co solare, cioè quando per rifare il terrazzo si è stati costretti a rimuovere anche i parapetti, successivamente da inserire nuovamente o ricostruire.
In ogni caso non possono ad esempio rientrare tra quelle da suddividere ai sensi dell’art. 1126 c.c. le spese di rifacimento e di manutenzione di una piscina di un con¬domino, posta sul lastrico solare condominiale in esclusivo uso del medesimo, poiché la vasca si pone come una specifica pertinenza dell’immobile e, in quanto tale, non necessita di manutenzione per la sua destinazione a copertura dei piani sottostanti ma per evitare che dalle pareti possano derivare infiltra¬zioni in ragione del particolare uso di tale struttura. Non fanno parte del lastrico solare neppure i torrini della gabbia scale e del locale ascensore con la relativa copertura, che certamente sono beni condominiali: si tratta di distinti e autonomi manufatti sopraelevati rispetto al piano di copertura del fabbricato. In ogni caso sono di proprietà condominiale, e quindi a carico di tutti i condomini per millesimi, anche i canali di scarico, le gronde, la parte esterna dei parapetti, il cornicione e, in genere, tutti gli sporti di coronamento dei lastrici. Anche le gronde e le altre parti comuni finalizzate a raccogliere e convogliare le acque piovane vanno quindi riparate a spese di tutti i condomini, secondo i millesimi di proprietà attribuiti a ciascuno, in quanto svolgono una funzione utile all’intero edificio condominiale. E questo anche nel caso in cui non via sia un tetto a falde ma un lastrico solare di proprietà esclusiva.
E’ infine utile ricordare che una clausola del regolamento di natura contrattuale può porre a carico dell’utente o proprietario esclusivo l’intero onere delle spese necessarie, e non il semplice terzo, come previsto dalla norma in argomento. Ma una diversa convenzione può anche stabilire delle diverse quote di ripartizione o limitare il pagamento della quota di due terzi, dovuta dai titolari delle unità immobiliare coperte, ad alcuni soltanto di questi o escludere il titolare del diritto esclusivo dal pagamento della quota di un terzo delle spese.
Infiltrazioni e responsabilità per danni
Il fenomeno delle infiltrazioni di acqua piovana interessa purtroppo numerosi edifici e spesso comporta gravi danni per i proprietari delle unità immobiliari sottostanti. Quando le infiltrazioni originano da una cattiva manutenzione delle parti comuni, vi è sicuramente la responsabilità del condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, in quanto custode delle stesse (art. 2051 c.c.). Laddove, invece, il bene da cui promana il danno sia di proprietà esclusiva, a rispondere sarà il relativo proprietario. Tuttavia vi sono delle ipotesi nelle quali si ha un bene di proprietà esclusiva (o di uso esclusivo) che svolge tuttavia una funzione comune a tutte o a parte delle unità immobiliari comprese nel condominio.
Questo è appunto il caso del lastrico solare e della terrazza a livello, poiché questi beni, che possono anche essere di proprietà o di uso esclusivo, svolgono una indiscutibile ed essenziale funzione (comune) di copertura delle unità immobiliari sottostanti. In questi casi la più recente giurisprudenza di legittimità ha ormai configurato la sussistenza di una responsabilità concorrente in capo tanto al proprietario o titolare del diritto di uso esclusivo del bene quanto al condominio, sempre nella sua qualità di custode del bene.
Inoltre, come già osservato, per i lastrici solari e i terrazzi a livello vige uno speciale criterio di riparto degli oneri di manutenzione (art. 1126 c.c.), che chiama a compartecipare alle spese tanto il proprietario/utilizzatore esclusivo del bene quanto gli altri condòmini che ne traggono comunque beneficio in termini di copertura delle proprie unità immobiliari. Pertanto dei danni cagionati all’unità immobiliare sottostante al lastrico solare o alla terrazza livello per le infiltrazioni d’acqua da esso da essi provenienti a causa di difetti di manutenzione rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126 c.c., ovvero i condomini ai quali lastrico o la terrazza servono da copertura, in proporzione dei due terzi, e il titolare della proprietà o dell’uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo.
Se invece il lastrico solare o la terrazza a livello è di proprietà condominiale, alle riparazioni e alle ricostruzioni sono obbligati solo i condomini proprietari o titolari di diritti reali delle unità immobiliari sottostanti, in quanto il lastrico/terrazzo adempie soltanto alla funzione di copertura dell’edificio e appartiene soltanto ai partecipanti al condominio. In questa ipotesi per il risarcimento dei danni cagionati all’unità immobiliare sottostante oggetto di infiltrazione i condomini risponderanno in proporzione alle quote riportate nella tabella millesimale di proprietà.
In ogni caso sono escluse dalla ripartizione ex art. 1126 c.c. le spese che si siano rese necessarie a causa di un comportamento negligente del titolare dell’uso esclusivo determinato da un utilizzo improprio del lastrico stesso (ad esempio per l’appoggio di vasi di notevole peso, l’ancoraggio di pali per stendere i panni o altro comportamento tale da lesionare il sottostante strato impermeabilizzante, ecc.) o da lavori di sostituzione del pavimento non eseguiti a regola d’arte, con conseguente danneggiamento degli strati sottostanti.
La sopraelevazione
Ingrandire casa costruendo in altezza è possibile anche in condominio per il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare, a patto però di rispettare tutta una serie di condizioni. La sopraelevazione dell’edificio condominiale è consentita infatti soltanto ove da essa non derivino pregiudizi alla staticità dell’immobile e non ne venga alterato l’aspetto architettonico. Inoltre chi intende eseguire interventi del genere è anche tenuto a corrispondere un’indennità agli altri condomini in relazione all’aumento volumetrico della proprietà e a ricostruire la sommità dell’edificio e le altre parti comuni resesi necessarie (si pensi ad esempio alle scale).
L’art. 1127 c.c. consente al condomino che sia proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare di creare nuove abitazioni mediante l’innalzamento dell’edificio. Non rientrano però in questo ambito tutte le possibili opere edilizie eseguite al solo scopo del recupero o della trasformazione del sottotetto. Infatti, secondo la giurisprudenza, perché vi sia una vera e propria sopraelevazione occorre un materiale innalzamento della copertura del fabbricato, sia che si tratti del tetto che del lastrico solare. Quindi la Suprema corte, risolvendo un acceso contrasto giurisprudenziale sull’incremento minimo dell’altezza, ha di recente precisato che il citato art. 1127 c.c. è applicabile ogni volta che via sia un aumento dell’estensione verticale dell’edificio, dunque anche in caso di semplice trasformazione dei locali preesistenti che comporti un incremento in tal senso.
Per costruire un nuovo piano non occorre comunque la proprietà dell’intero lastrico solare, ad esempio nel caso di più appartamenti posti all’ultimo piano, e quest’ultimo può anche essere un bene comune del condominio, essendo infatti sufficiente anche la mera titolarità dell’ultimo piano sottostante il lastrico solare o di una porzione di esso. Quindi, in generale, ciascun condomino può sopraelevare nello spazio aereo sovrastante la singola unità immobiliare senza che sia necessario il contemporaneo innalzamento delle porzioni degli altri proprietari.
Il costruttore che predispone il primo regolamento di condominio può riservarsi il diritto di sopraelevazione, o anche la proprietà esclusiva del lastrico solare, al fine di esercitare il connesso diritto di edificare ulteriori piani in un momento successivo oppure per trasferire la titolarità del lastrico a terzi. Una simile clausola regolamentare, però, ha natura contrattuale, in quanto comporta una vera e propria limitazione del diritto di proprietà dei nuovi acquirenti, e dovrà quindi essere accettata da tutti al momento dell’acquisto delle singole abitazioni. Inoltre, affinché tale riserva sia opponibile anche agli acquirenti successivi degli originari condomini, è necessario che il regolamento sia trascritto nei pubblici registri. L’impresa costruttrice che abbia innalzato l’edificio, creando nuovi piani, potrà quindi vendere i nuovi appartamenti, nonché la proprietà del nuovo lastrico solare, e con essi il diritto di sopraelevare. Anche in questo caso il costruttore potrebbe però decidere di riservarsi la proprietà del nuovo lastrico solare al fine di procedere a un ulteriore futuro innalzamento, ove tecnicamente possibile.
L’art. 1127 c.c. pone dei limiti al diritto di sopraelevazione a tutela della compagine condominiale. Il primo di questi limiti riguarda le condizioni statiche dell’edificio. Il legislatore infatti si è preoccupato di salvaguardare la sicurezza dei condomini vietando l’innalzamento del fabbricato se da ciò possa derivare un pericolo di crollo del medesimo. Inoltre la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che la valutazione delle condizioni statiche dell’immobile deve essere svolta considerando la possibilità dell’edificio di sopportare il peso del nuovo piano, ma occorre anche tenere conto della normativa antisismica vigente, che impone particolari cautele tecniche per l’edificazione nelle zone a rischio. Tale divieto è inderogabile e non può essere superato nemmeno in presenza di un eventuale consenso unanime dell’assemblea condominiale.
Il codice civile inoltre prescrive che la nuova costruzione non arrechi pregiudizio all’aspetto architettonico dell’edificio. Tale ipotesi si verifica quando il nuovo piano sia costruito con uno stile diverso da quello utilizzato per la parte preesistente. In caso di violazione di questo divieto gli altri condomini potranno legittimamente opporsi alla sopraelevazione, ricorrendo all’autorità giudiziaria affinché sospenda i lavori o, se questi sono terminati, per ottenere la riduzione in pristino con demolizione del nuovo piano e il risarcimento dei danni causati.
Un altro limite previsto dal citato art. 1127 c.c. riguarda la diminuzione di luce o di aria dei piani sottostanti causata dall’innalzamento del fabbricato. Occorre però precisare che tale diminuzione, che può riguardare anche un solo condomino, deve essere di notevole entità, con la conseguenza che nessuno potrà opporsi qualora il danno subito sia lieve e trascurabile. Ulteriori divieti di costruire oltre l’ultimo piano potrebbero poi essere contenuti nel regolamento di condominio. In questo caso, però, si tratterebbe di clausole di natura contrattuale, che potrebbero essere superate con il consenso unanime dei condomini.
Chi procede alla sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, corrispondente a quella del suolo su cui insiste l’edificio, diviso per il numero dei piani, compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. L’obbligo del pagamento dell’indennità trova la propria causa nel fatto che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell’ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio, il quale, ai sensi dell’art. 1118 c.c., è proporzionato al valore del piano o porzione di esso di sua proprietà. Lo scopo dell’indennità è quindi sostanzialmente riparatore ed è diretto a ristabilire la situazione economica precedente mediante la prestazione dell’equivalente pecuniario della quota perduta da ciascun condomino a causa della sopraelevazione.
Chi abbia effettuato i lavori di innalzamento è altresì tenuto, ai sensi del citato art. 1127 c.c., a ricostruire a proprie spese la sommità dell’edificio e le parti comuni, ove necessario, come ad esempio le scale interne.
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