Emma Bonotti
Chiavi, cellulare e portafoglio sono i tre oggetti che ognuno controlla di avere con sé prima di uscire di casa. Con il passare degli anni questa abitudine si è evoluta e il classico borsellino appesantito dalle monete ha lasciato il posto al portacarte. Ma secondo il governatore della Banca centrale del Brasile, Roberto Campos Neto, ben presto la pratica verrà nuovamente rivoluzionata quando, indebolite dalla concorrenza delle soluzioni di open finance, le carte di credito cesseranno di esistere.

Ovviamente, la provocazione del banchiere centrale sudamericano va calata nel contesto finanziario del Paese in cui è stata pronunciata. Rispetto all’Italia, il Brasile può vantare una popolazione più giovane, capace di rispondere ai cambiamenti tecnologici con maggiore rapidità. Inoltre, come sottolinea il partner di Kpmg, Pasquale Ambrosio, in Brasile l’utilizzo della carta di credito è «fortemente sbilanciato sulla componente creditizia». Infatti, nell’affrontare l’argomento è opportuno distinguere il ruolo della carta come metodo di pagamento da quello di canale di accesso al credito. Nel primo caso, i numeri mostrano un trend in crescita, sostenuto dai progressi tecnologici e dal cambiamento dei comportamenti dei consumatori. Nell’Eurozona, ad esempio, secondo i dati della Banca centrale europea nel 2021 le carte sono state utilizzate per il 49% dei pagamenti digitali, che a loro volta hanno superato i 114 miliardi di euro. Invece, per Ambrosio l’aspetto creditizio connesso a questo metodo di pagamento è «fortemente sotto attacco dalle nuove soluzioni fintech», come il buy now pay later, che offrono finanziamenti in modo più semplice e con tempi di attesa ridotti rispetto al sistema bancario tradizionale.

Anche Anna Omarini, professoressa dell’Università Bocconi ed esperta di finanza digitale, ritiene piuttosto improbabile lo scenario dipinto dal governatore brasiliano: «Non penso che i circuiti si facciano soffiare tanto facilmente il mercato che si sono costruiti. Sicuramente assisteremo ad una riconfigurazione del settore dei pagamenti, dove le carte di credito come le utilizziamo oggi potrebbero non esistere ma in tal caso si tratterebbe semplicemente di sostituire uno strumento con un altro più efficiente. Anche i grandi nomi subiranno la concorrenza crescente delle società fintech, ne sono coscienti, e per questo motivo stanno già riconfigurando la loro proposta di valore».

Bancomat Pay, il servizio che permette di inviare e ricevere denaro direttamente sul cellulare, ne è la testimonianza. Come spiega l’amministratpre delegato di Bancomat, Alessandro Zollo, la nuova proposta dell’operatore italiano vuole «promuovere un circuito europeo first digital che, partendo dalle soluzioni esistenti, realizzi un’interoperabilità tra attori domestici ed europei».

Ma quali sono le ultime novità del settore dei pagamenti che sfidano lo status quo? Come si legge in un report dell’Osservatorio Innovative Payments, l’anno scorso gli acquisti conclusi con la modalità contactless hanno sfiorato i 126,5 miliardi di euro su un totale di 327 miliardi spesi dagli italiani attraverso dispositivi digitali, attestandosi al secondo posto dopo il più tradizionale inserimento della carta nel pos. L’e-commerce ha registrato una crescita del 21% rispetto al 2020, anno d’oro per i pagamenti online, raggiungendo i 39,4 miliardi. Ma il vero balzo lo hanno fatto le transazioni mobile e wearable, ovvero quelle compiute rispettivamente attraverso smartphone e oggetti indossabili, che hanno sperimentato una crescita del transato in un anno del 90% a 9,3 miliardi di euro. Ciò significa che, nonostante la carta fisica continui a essere presente nei portafogli degli italiani, alla cassa sempre più persone preferiscono utilizzare il proprio cellulare per concludere gli acquisti. Tuttavia, perché i wallet digitali possano funzionare, i loro proprietari devono avervi registrato i dati della propria carta.

Oggetto fisico o token, la carta di fatto continua a veicolare il trasferimento di denaro dal conto del cliente a quello del negozio. «Credo che le plastiche resteranno centrali, come pure il contante», è la lettura di Zollo, «ma il digitale, se legato ad un’infrastruttura efficiente, potrà essere una prima scelta, se non anche accompagnare l’evoluzione delle carte con un nuovo volto, attraverso la loro smaterializzazione».

Allora, che cosa cambia? La percezione dell’acquisto da parte del consumatore viene totalmente stravolta. Sempre più piattaforme e-commerce richiedono agli utenti di registrare le proprie carte digitali sui loro siti per non interrompere l’esperienza di acquisto. Ma anche in negozio, le attività commerciali puntano a ridurre il tempo che intercorre dal momento in cui il cliente sceglie un oggetto a quando decide di comprarlo e avviene quindi il pagamento. «Avvicinandosi alla cassa il consumatore rischia di ripensarci, perché passa da un’emozione positiva suscitata dal soddisfacimento di un desiderio a quella negativa della separazione da qualcosa di caro come il denaro», spiega Ambrosio.

Più che una rivoluzione, come suggeriva Campos Neto, il processo a cui stiamo assistendo potrebbe essere definito un’evoluzione del sistema dei pagamenti digitali. E come in tutti i cambiamenti, alcuni dei player coinvolti – a cominciare dai colossi Visa e Mastercard – traineranno lo sviluppo del settore, mentre altri soffriranno. Secondo Valeria Portale, direttrice dell’Osservatorio Innovative Payments, «i circuiti attuali rischiano di perdere il ruolo di intermediario tra il cliente e l’istituto bancario. Per questo motivo, stanno seguendo attentamente lo sviluppo delle nuove tecnologie per capire quale parte potranno giocare nel nuovo ecosistema. Potrebbero reinventarsi come technology provider, ad esempio, ma difficilmente questi attori lasceranno il mercato».

Anche le banche commerciali – se non saranno disposte a innovare i loro meccanismi di pagamento e soprattutto di accesso al credito -rischiano di soffrire la concorrenza dei nuovi sistemi fintech. Ma attenzione: un’ampia gamma di servizi finanziari tra cui scegliere rischia di essere un’arma a doppio taglio per il consumatore meno esperto: ciò che da un lato può essere una ricchezza, dall’altro potrebbe confondere o addirittura trarre in inganno. (riproduzione riservata)

Buy now (e se potrai) pay later
di Emma Bonotti
Si sente sempre più parlare di «buy now pay later» come dell’ultima frontiera di accesso al credito. E se il significato di questo termine anglosassone non è poi così oscuro ai più, i risvolti sociali di questa forma di finanziamento contestuale al pagamento continuano a essere meno conosciuti. Come spiega il partner di Kpmg, Pasquale Ambrosio, «con questo metodo i consumatori possono ottenere credito istantaneamente anche per piccoli importi, per finanziare ad esempio l’acquisto di un cellulare», senza essere sottoposti ad eccessivi controlli. Come si attiva? Poche domande, la foto di un documento e 1.500 euro diventano magicamente tre rate da 500 euro. A primo impatto, la possibilità offerta da questo strumento potrebbe non risultare foriera di effetti profondamente negativi sulla società. Come lo è stata nel Paese dov’è stato adottato per la prima volta.

Al suo lancio, risalente ormai a dieci anni fa, il «buy now pay later» ha avuto subito un grande seguito tra i giovani australiani che hanno visto in questo strumento l’occasione perfetta per comprare ciò che diversamente non si sarebbero potuti permettere. Il risultato? L’indebitamento cronico di una generazione. «Un accesso al credito così veloce combinato con una scarsa educazione finanziaria rischia di esporre i consumatori più giovani a debiti che potrebbero non essere in grado di rimborsare», continua Ambrosio. «Queste nuove forme di finanziamento sono molto efficaci per soddisfare il bisogno di istantaneità del consumatore di oggi». Allo stesso tempo, l’esperienza ultraveloce nella realizzazione del pagamento e nell’ottenere ripetuti finanziamenti di piccolo importo modifica il rapporto che chi ricorre al prestito ha con il denaro. Nonostante i rischi sociali, il «buy now pay later» sarà sempre più presente come metodo di finanziamento: entro il 2025 punta a ricoprire il 9% del mercato italiano delle transazioni e-commerce. (riproduzione riservata)
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