di Guido Scorza
In un bell’editoriale il direttore di questo giornale ha raccontato dell’idea del presidente del Consiglio Mario Draghi di «pre-recepire» in Italia il Regolamento europeo – il Digital Market Act – con il quale la Commissione Europea vorrebbe ridimensionare i grandi oligopolisti digitali. L’obiettivo è nobile anche perché le distorsioni della concorrenza e le disfunzioni sui mercati digitali producono effetti collaterali significativi e pericolosi in termini sociali, culturali e politici, consentendo a una manciata di imprese di dettare la dieta mediatica nazionale e internazionale e, per questa via, di orientare il pensiero di miliardi di persone, nella direzione, di volta in volta, scelta dai loro azionisti, dai loro partner commerciali e/o dai loro investitori pubblicitari.

Bene, dunque, darsi anche come obiettivo nazionale quello di far cogliere al Paese tutte le straordinarie e innegabili opportunità offerte da società che, a colpi di genialità, creatività, ingegno e tecnologia, in un ventennio, hanno letteralmente riscritto il destino del mondo, limitando, però, il rischio che i benefici siano per pochi e che il prezzo da pagare sia troppo salato.

Le chance di successo di un’iniziativa del genere sono, tuttavia, modeste perché è un confronto tra Davide e Golia: è dubbio persino che l’impresa sia alla portata dell’Unione Europea ed è, purtroppo, difficile credere sia alla portata del nostro Paese da solo.

Ma se c’è una certezza è che se il governo vuole scendere in campo deve farlo partendo dalla regolamentazione dei dati perché sono proprio l’accumulo, la disponibilità e il controllo dei dati – in particolare di quelli personali – a garantire ai soggetti che si intende richiamare all’ordine il potere che hanno acquisito e che esercitano. I dati personali degli utenti sono – per restare alle metafore bibliche – per le big tech, i capelli di Sansone dai quali traggono la loro forza.

Ed è, per questo, che un intervento sulla disciplina sui dati rappresenta, probabilmente, l’unica vera possibile leva per garantire una maggiore libertà di impresa e concorrenza e per abbattere il rischio che le big tech, coscientemente o incoscientemente, maliziosamente o meno finiscano con il produrre sulla società, nella sua dimensione culturale, economica e politica, effetti difficilmente sostenibili.

E, d’altra parte, i dati – personali e non – sono, non a caso, al centro, di alcune delle misure più significative ipotizzate dalla Commissione europea nella proposta di Digital Market Act ma sono, soprattutto, il cuore dell’altra proposta di Regolamento di recente avanzata dalla Commissione Europea, quella del Data Governance Act.

Se, quindi, il presidente del Consiglio vuole davvero provare a anticipare Bruxelles è da qui che deve partire, ovviamente, lavorando nelle maglie strette dell’ordinamento europeo che, per la verità, disciplina la più parte degli ambiti sui quali sarebbe necessario intervenire. Ecco alcune possibili priorità.

La prima. Investire ogni risorsa disponibile nello sviluppo di un’autentica, profonda e diffusa cultura del valore dei dati, a cominciare da quelli personali perché più i cittadini-utenti sono consapevoli del prezzo che pagano per l’utilizzo, solo apparentemente gratuito, di certi servizi, più saranno capaci di scongiurare il rischio che il Paese diventi una moderna colonia digitale dalla quale pochi traggono, a basso costo, un enorme ricchezza, restituendo ai più meno di quanto ricevono. La consapevolezza del valore economico, sociale, culturale e democratico del diritto alla privacy va promossa in ogni settore del Paese perché senza la partita è persa in partenza.

La seconda. Portabilità dei dati e altruismo dei dati, per dirlo con le parole del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali, con quelle del Digital Market Act e con quelle del Data governance act devono diventare strumenti di uso comune, diritti facili da esercitare, anche in tempo reale in modo da garantire, ovviamente nel rispetto delle regole della privacy, la massima possibile circolazione dei dati, la libertà di utenti e consumatori di passare da un fornitore di servizi digitali a un altro senza perdere i vantaggi da fidelizzazione e la capacità di chi vuole fare impresa nel digitale di poterlo fare senza necessariamente dover bussare alla porta di questo o quell’oligopolista dei dati. La terza. L’enforcement delle regole in materia di privacy va rafforzato perché il loro rispetto è, ormai, direttamente proporzionale al rispetto delle regole di mercato: non si rispettano queste ultime violando le prime. E qui servono, mezzi, risorse e poteri per l’Autorità di protezione dei dati che non può essere lasciata sola a confrontarsi con i giganti del mercato tecnologico. Oggi lo scontro è impari. Non è facile ma si può fare. (riproduzione riservata)

*componente del Collegio del Garante per la Protezione dei Dati Personali
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