LO SCENARIO DELINEATO DA MCKINSEY: SONO ANCORA POCHE LE REALTÀ CHE SFRUTTANO QUESTO ASSE
Pagina a cura di Tancredi Cerne
In due si cresce più velocemente. La partnership tra startup e grandi aziende rappresenta un elemento strategico fondamentale per accelerare lo sviluppo delle nuove imprese. Ma in Italia, più una startup su tre non riesce a sfruttare queste opportunità. È l’avvertimento lanciato da McKinsey dopo aver passato al setaccio i rapporti che legano 80 startup e manager italiani al mondo delle industrie già affermate e radicate. Se è vero, infatti, che l’ecosistema delle startup italiane si espande a ritmo sostenuto, è anche vero che il 35% non ha instaurato alcun tipo di partnership con aziende strutturate, il 41% collabora attualmente con più di due imprese mentre il 24% ha avviato le prime collaborazioni con una o due società. Ma quali sono i vantaggi di una partnership? Gli startupper non sembrano avere dubbi. Innanzitutto, l’esigenza di annoverare una grande società nel bacino dei propri clienti, per acquisire credibilità agli occhi degli investitori e accelerare la propria crescita. Seguono i motivi prettamente strategici: dalla possibilità di accedere al mercato e di attingere al bacino dei fornitori dell’impresa partner, all’opportunità di ricorrere alle risorse dell’azienda (come la forza vendita) per superare eventuali barriere all’ingresso nel mercato, fino alla possibilità di arricchire la propria offerta con prodotti complementari. Meno rilevanti, invece, motivi come l’opportunità di accrescere le proprie competenze o sperimentare nuovi modelli di business. In merito alle modalità della ricerca dell’azienda partner da parte delle startup italiane, secondo l’analisi di McKinsey, il 70% delle startup ha ricercato proattivamente il sostegno di una grande società, mentre nel 30% dei casi si è preferito adottare un approccio reattivo dopo essere stati contattati da venture capital, aziende o centri di innovazione interessati all’idea o modello di business. «Nei casi in cui le startup si sono mosse proattivamente alla ricerca del partner, il canale preferenziale per individuare la grande azienda è stato il network di conoscenze personali dei fondatori, seguito dalla partecipazione a eventi di settore e dall’accesso a piattaforme online», si legge nel report. Uno sforzo che sembra, tuttavia dare i risultati sperati se è vero che oltre l’80% delle startup che hanno preso parte all’indagine si è detto soddisfatto della partnership sottoscritta con una o più aziende. Solo il 18% si ritiene insoddisfatto della collaborazione segnalando ampi margini di miglioramento. «L’indice di gradimento è strettamente legato alla dimensione e alla complessità organizzativa delle startup», hanno avvertito Alessio Botta, Alessia Vassallo e Silvia Nelba, rispettivamente senior partner, associate partner ed engagement manager di McKinsey. «Nelle realtà più grandi, che si trovano in uno stadio di sviluppo più avanzato e operano nel mercato B2B, la percentuale di startup soddisfatte della partnership è del 75% (il 44% si dichiara pienamente soddisfatto e il 31% mediamente soddisfatto), mentre quella delle insoddisfatte raggiunge il 25%. Il livello di soddisfazione per la relazione varia sensibilmente anche riguardo alle due tipologie di partnership: in quelle individuali la percentuale di startup insoddisfatte è molto bassa, pari al 12%, mentre nel caso di partnership istituzionali sale di 20 punti percentuali, raggiungendo il 31%». Ma quali sono le ragioni di questo rilevante livello di insoddisfazione? Le motivazioni principali sembrano essere legate alla minore trasparenza e alla scarsa flessibilità. Nelle partnership individuali, infatti, vengono apprezzate soprattutto la trasparenza e la stretta collaborazione nell’identificare gli obiettivi dell’alleanza, così come la flessibilità nel definire i ruoli delle due parti e il modello operativo della partnership. Ma trasparenza e flessibilità sono raramente presenti nelle relazioni mediate da terze parti, in particolare quando le startup attraversano una fase avanzata della loro crescita e non sentono la necessità di ricorrere al sostegno di un interlocutore esterno che risulta invece decisivo nelle prime fasi di sviluppo.

Il punto di vista delle aziende. Se le startup appaiono motivate a siglare una partnership con una grande azienda per sfruttare i loro punti di forza, quali sono le motivazioni contrarie che spingono invece gli imprenditori a sottoscrivere delle partnership con gli startupper? «Le startup sono in grado di fornire soluzioni all’avanguardia, molto spesso già testate e di rapida adozione, che possono rappresentare novità stimolanti per gli utenti interni all’azienda e per i servizi rivolti ai clienti, provenendo talvolta da un settore diverso», hanno spiegato gli esperti di McKinsey. «Inoltre, le partnership con le startup possono contribuire a promuovere il cambiamento culturale all’interno dell’azienda. Un risultato che può essere conseguito soprattutto grazie alla contaminazione di idee e alla stretta collaborazione che si può instaurare tra i dipendenti delle due realtà, nell’ambito di team multidisciplinari che adottano diverse e nuove modalità di lavoro: dalle metodologie agili, al design thinking, fino alla sperimentazione di nuove tecnologie (come l’intelligenza artificiale), con approcci non invasivi sui sistemi IT dell’azienda». Non solo. Un altro motivo che spinge le aziende alla ricerca di forme di collaborazione con le startup è il ritorno di immagine positivo che si può creare nella percezione degli azionisti, del mercato e dei propri clienti, per dimostrare quanto l’azienda sia al passo con i trend emergenti nel settore e quindi aumentarne l’attrattività e migliorarne la reputazione. Senza dimenticare la possibilità di esplorare nuovi mercati, adottare nuovi modelli di business e applicare tecnologie di frontiera nel settore in cui operano. «La partnership fra grandi aziende e startup costituisce un tassello fondamentale nella creazione di un ecosistema dell’innovazione di successo in Europa, perché aiuta a superare i due ostacoli che le aziende e le startup europee devono quotidianamente affrontare: la disponibilità di persone di talento, da un lato, e l’accesso ai finanziamenti, dall’altro», hanno sottolineato Botta, Vassallo e Nelba. «Le aziende sono alla continua ricerca di talenti. Ma sebbene l’Europa abbia la più alta densità di scuole di eccellenza e centri di ricerca del mondo, molti dei nostri giovani emigrano in cerca di lavoro oltreoceano, inseguendo opportunità che qui fanno fatica a individuare.

La sfida da vincere è dunque quella di creare e alimentare anche nel Vecchio continente ambienti di lavoro attrattivi, in cui la collaborazione fra startup e grandi aziende sia capace di generare innovazione, sostenibilità e riconoscimenti adeguati».
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