PER ARRIVARE A ZERO EMISSIONI NEL 2050 LA CHIAVE È RAFFORZARE L’IMPACT INVESTING
di Marco Capponi
Il pianeta Terra è malato: per quanti sforzi si possano compiere, la piaga del riscaldamento globale appare ormai come irreversibile. Un monito, il più duro mai formulato, che è arrivato ieri dalla sesta edizione del rapporto dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (Ipcc), redatto in seno alle Nazioni Unite, secondo il quale anche il miglior scenario di riduzione delle emissioni annue di Co2, a zero entro il 2050, comporterebbe un aumento della temperatura del pianeta di 1,5 gradi Celsius nel giro del 2030. Le conseguenze si tradurrebbero in fenomeni atmosferici estremi, di cui l’estate 2021, tra incendi e uragani, sta dando le prime avvisaglie.

Unico elemento di ottimismo, quello segnalato da uno degli autori del report, Piers Foster: «Se il mondo sarà in grado di ridurre sostanzialmente le emissioni nette negli anni Venti e arrivare a zero nel 2050», ha evidenziato, «l’aumento della temperatura potrà essere limitato a 1,5 gradi». Già tempo fa l’Ipcc aveva stimato che, per arrivare all’obiettivo delle zero emissioni nel 2050, gli investimenti medi globali contro il climate change avrebbero dovuto crescere di circa 705 miliardi di euro annui rispetto ai 500 del biennio 2017-19. I grandi piani come il Green New Deal della Commissione Ue, con una dotazione stimata in almeno 1.000 miliardi nel prossimo decennio, daranno un contributo importante all’obiettivo, e la finanza sostenibile europea ha registrato lo scorso anno, secondo i dati Morningstar, afflussi di circa 223 miliardi, anche se la strada da percorrere è tutta in salita. Un gruppo di professionisti degli investimenti, il Club dei 300, si è mobilitato per dare vita a una partnership pubblico-privato che porti all’emissione di una serie di bond garantiti dai governi e finalizzati a contrastare il surriscaldamento del pianeta. «Il framework di azzeramento delle emissioni», ha commentato Randeep Somel, gestore del fondo M&G Climate Solutions di M&G Investments, «deve essere raggiunto molto prima del previsto: come investitori dobbiamo fare pressioni sulle aziende affinché si impegnino a raggiungere obiettivi rigorosi». Oltre a scommettere su imprese che hanno già imboccato la strada della decarbonizzazione, dai produttori di veicoli elettrici alle aziende che si occupano di energia rinnovabile o efficienza degli edifici, per il money manager la strada da intraprendere come investitori è quella di «fare pressione sulle società perché scelgano percorsi di transizione dei modelli di business vero target sostenibili». La chiave della lotta al climate change si trova quindi soprattutto nell’impact investing, quello cioè in cui i capitali privati contribuiscono a creare impatti sociali positivi senza rinunciare al rendimento. Per Jon Wallace, fund manager delle soluzioni ambientali di Jupiter Am, «la sfida è quella di fornire capitale ad aziende focalizzate sulla fornitura di prodotti e servizi che aiutino le imprese a raggiungere i loro obiettivi di emissioni zero». Una vera e propria scommessa sull’intera catena del valore, che può generare ritorni interessanti specie «in settori che finora hanno visto progressi limitati rispetto a chi, come energia e automotive, sta facendo grandi passi avanti». Sfida essenziale per il genere umano, che secondo il rapporto Ipcc è il primo responsabile della situazione attuale, e che sarà chiamato, per quanto possibile, a rimediare ai suoi errori passati. (riproduzione riservata)
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