L’operazione da 30 miliardi di dollari messa in cantiere da Aon avrebbe potuto concludersi in maniera diversa, ma le opzioni sul campo per chiudere l’accordo con Willis Towers Watson sarebbero state dannose per l’azienda, secondo il Ceo di Aon, Greg Case.

Mentre il progetto di fusione ha ottenuto il via libera da numerose giurisdizioni, in primis dall’Unione Europea che ha legato la sua approvazione a un pacchetto di cessioni necessarie a superare i problemi di concorrenza nel vecchio continente, nulla c’è stato da fare per superare la diffidenza del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che ha intentato una causa civile per bloccare l’operazione.

Greg Case

Commentando quanto successo negli ultimi giorni durante la call sui risultati finanziari del secondo trimestre, Case ha detto che il progetto di fusione era il frutto di un’intuizione eccezionale, ulteriormente rafforzata dalla pandemia. “Abbiamo ricevuto la convinta approvazione da parte degli azionisti, così come dalle authority di quasi tutto il mondo. Siamo arrivati in una situazione di stallo con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. A quel punto avremmo potuto proseguire e portare a termine il progetto, ma abbiamo scelto di non procedere oltre in quanto le opzioni che si prospettavano erano per noi inaccettabili e non convenienti”.

Una delle strade percorribili avrebbe richiesto di mettere mano a una nuova serie di dismissioni, “Non sarebbe stata la soluzione giusta. Sapevamo più o meno cosa ci veniva chiesto, ma questa opzione avrebbe danneggiato le nostre capacità di servizio al cliente e avrebbe soffocato l’innovazione”.

Altrettanto poco attraente per Case la seconda opzione in campo: il contenzioso

Dopo la decisione del Dipartimento di Giustizia di intentare una causa civile, i tempi si sarebbero ulteriormente allungati, considerato anche che l’eventuale procedimento non sarebbe potuto iniziare prima di novembre.

“Abbiamo dimostrato grande solidità nell’attendere le decisioni delle varie authority, ma affrontare il procedimento attivato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti significava allungare ulteriormente i tempi, già troppo lunghi, dell’operazione e far slittare la definizione dell’accordo al 2022. Semplicemente una soluzione inaccettabile”.