I CHIARIMENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE SU MANCATO VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI E RISARCIMENTO
Pagina a cura di Daniele Cirioli
Il «danno previdenziale», ossia il danno sofferto sulla propria pensione a causa di un mancato versamento di contributi, si realizza soltanto al momento di andare in pensione, cioè all’epoca di maturazione dei relativi (tutti) requisiti. Lo stabilisce la Corte di cassazione nella sentenza n. 15947/2021. Che formula, inoltre, un interessante corollario: al pari del diritto al risarcimento del danno, anche quello alla transazione (accordo per prevenire amichevolmente l’insorgere di un lite sul danno) si realizza all’epoca di maturazione della pensione (e non prima, pena la nullità dell’accordo).

Il fatto. La pronuncia della Corte di cassazione riguarda la situazione di un lavoratore che, durante un periodo di lavoro estero, aveva ricevuto dal datore di lavoro il regolare versamento di contributi solo per la parte ordinaria di retribuzione.

Le maggiori indennità come anche le ulteriori somme connesse al distacco, invece, erano state escluse dalla «base imponibile» per il calcolo dei contributi, nonostante ciò fosse obbligatorio (ai sensi della disciplina vigente, il versamento dei contributi andava assolto come se il lavoratore stesse lavorando in Italia).

A fronte di tale omissione, quantificata quale «danno pensionistico da omissione contributiva» nel considerevole importo di 950.693.74 euro, il lavoratore ricorre in tribunale. Che respinge la pretesa dell’ex dipendente non trovando argomentazioni probatorie sul fatto che quelle maggiori somme ricevute (su cui non erano stati versati i contributi) fossero state erogate effettivamente a titolo retributivo e non di «rimborso spese».

Idem per il successivo ricorso in corte d’appello, ma per altra ragione: per il fatto che le somme erano già state oggetto di «conciliazione» intervenuta fra le parti, dunque non più suscettibili di contenzioso.

La vicenda quindi finisce in Corte di cassazione.

La decisione. Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione detta una serie di interessanti precisazioni. In primo luogo, precisa che soltanto una volta che si siano realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale, tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento di importo inferiore a quello altrimenti spettante.

A fronte dell’omissione contributiva, continua la Cassazione, è vero che esistono diverse forme di tutela per il lavoratore, essendo, ad esempio, consentito di chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi in favore dell’Inps ovvero una pronunzia di mero accertamento dell’omissione contributiva.

Ma anche in tal caso è solo con la maturazione della prescrizione dei contributi omessi che il lavoratore matura una ragione di danno risarcibile. Secondo la Corte, quindi, l’azione risarcitoria stricto sensu può essere esercitata soltanto nel momento in cui si determina la definitiva perdita della prestazione previdenziale; prima di quel momento il lavoratore soffre esclusivamente un «danno potenziale», in quanto titolare di una posizione assicurativa carente (in caso di parziale omissione contributiva) ovvero del tutto mancante (in caso di totale omissione).

Corollario di ciò, prosegue ancora la corte di Cassazione, è «l’impossibilità di disporre in via transattiva della posizione giuridica soggettiva inerente al diritto al risarcimento del danno pensionistico, che non si perfeziona se non con il maturare dei requisiti per l’accesso ai trattamenti previdenziali, vertendosi, precedentemente, nell’ambito di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore».

In tal caso, il danno subito dal lavoratore, dato dalla necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione, si verifica nel momento in cui il datore di lavoro, che avrebbe potuto versare i contributi in ogni momento successivo alla loro scadenza fino al compimento del termine di prescrizione, non può più versarli in quanto prescritti: è solo in questo momento che sorge per il lavoratore l’esigenza di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione.

Per pura cronaca, nel caso esaminato dalla Suprema corte c’era stata una transazione quando il danno non si era ancora verificato (perché alla data della transazione i contributi potevano ancora essere versati, non essendo coperti da prescrizione), né il lavoratore aveva ancora maturato il diritto a pensione, con la conseguenza che, non essendovi un «danno» da risarcire, non sussisteva neanche un diritto al (suo) risarcimento cui poter rinunciare (la transazione, cioè, era nulla).

Nulli i patti per eludere l’obbligo
L’obbligo di versamento della contribuzione sorge nel momento stesso in cui le prestazioni di un lavoratore sono utilizzate dal datore di lavoro tramite un rapporto di lavoro subordinato. A tale momento si perfeziona il «rapporto assicurativo», che coinvolge tre soggetti: datore di lavoro (assicurante: tenuto a versare i contributi), lavoratore (assicurato: beneficiario diretto dei contributi versati), ente previdenziale, in genere l’Inps (assicuratore: tenuto a riscuotere i contributi e successivamente a erogare le prestazioni ai lavoratori). L’onere contributivo grava in parte sul lavoratore, mediante trattenuta sulla retribuzione, e in parte (quella maggiore) sul datore di lavoro. L’obbligo del pagamento ricade, invece, completamente a carico del datore di lavoro. Salvo casi previsti per legge, il dipendente e il datore di lavoro non possono esimersi dal versamento della contribuzione (per esempio accordandosi tra loro) ed è nullo qualunque patto tra gli stessi volto ad eludere la contribuzione. L’obbligo di contribuzione riguarda, in via generale, anche coloro che sono già pensionati se continuano a svolgere attività per un datore di lavoro. Se un lavoratore presta attività presso due o più datori di lavoro, ciascuno di essi è obbligato a versare i contributi al lavoratore per la propria parte di competenza.

La prescrizione. I contributi si prescrivono, in via generale, in 5 anni dal giorno di scadenza del versamento. Dopo tale termine, non è possibile alcuna regolarizzazione. Tuttavia, nel caso di denuncia da parte del lavoratore o dei suoi superstiti, il termine prescrizionale, per il solo denunciante, è esteso a 10 anni, il che vuol dire che, solo qualora il lavoratore provveda a denunciare all’ente creditore (ad esempio all’Inps) l’omissione contributiva, entro il termine di prescrizione dei 5 anni, l’ente potrà procedere alle azioni finalizzare al recupero dei contributi non versati entro 10 anni dall’omissione. Una volta spirato il termine ultimo per i versamenti contributivi, l’ente di previdenza non può più pretenderli, né riceverli (neanche se spontaneamente versati dal datore di lavoro). Decorso il termine decennale di prescrizione, al dipendente rimane soltanto la possibilità di promuovere un’azione, affinché il datore di lavoro versi la riserva matematica corrispondente alla ricostruzione della quota di pensione persa proprio a causa del mancato pagamento dei contributi. Il Covid-19 ha sospeso i termini di prescrizione dei contributi per il periodo dal 31 dicembre 2020 fino al 30 giugno 2021 (sono ripresi a decorrere dal 1° luglio).

Come verificare la regolarità contributiva. Un dipendente può controllare se l’azienda gli versa i contributi? Sì, il lavoratore può verificare l’avvenuto versamento dei propri contributi mediante l’attestazione annuale rilasciata dal datore di lavoro (modello «CU») oppure chiedendo un estratto contributivo all’Inps. Inoltre, al fine di evitare che si verifichino situazioni di mancata copertura contributiva, soprattutto nei casi d’insolvenza del datore di lavoro, è previsto che contro il rischio di procedure di fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa, i lavoratori dipendenti possono ottenere l’intervento del «Fondo di Garanzia» e considerare i contributi omessi e non prescritti come versati.

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