La Cassazione sulle clausole che escludono la copertura per responsabilità professionale
Addio paletti nel contratto se l’assicurazione non rischia
Pagina a cura di Dario Ferrara

No a polizze per la responsabilità civile dei professionisti come «fonte di rendita parassitaria» per le assicurazioni. Le clausole che escludono la copertura, infatti, devono comunque essere interpretate in modo che non venga meno la funzione propria del contratto: difendere il cliente dagli errori tecnici compiuti in danno dei clienti. È dunque escluso che la riduzione del rischio in favore della compagnia possa nei fatti privare la polizza di ogni utilità pratica per l’assicurato, rendendo così ingiustificato lo spostamento patrimoniale a carico di quest’ultimo. È quanto emerge dall’ordinanza 14595/20, pubblicata dalla terza sezione civile della Cassazione.
Equilibrio da garantire. Accolto uno dei motivi del ricorso proposto dal geometra. Il professionista non risulta coperto dalla polizza Rc per l’errore compiuto nell’indagine urbanistica: i venditori dell’appartamento, suoi clienti, sono condannati a tenere indenne il compratore perché si scopre che c’è un abuso edilizio nell’immobile condominiale e il tecnico non se n’è accorto. Ma a essere sanzionato è soltanto l’avente causa dei suoi clienti e quindi l’assicurazione non paga. La Corte d’appello, tuttavia, si ferma al dato letterale nell’interpretare il contratto della polizza. Mentre bisogna verificare che la distribuzione dei rischi garantisca l’equilibrio nella posizione delle parti. E la Suprema corte, osserva il collegio, è sempre più attenta a smascherare le clausole delle polizze che neutralizzano il rischio o addirittura lo trasferiscono a carico dell’assicurato, a tutto vantaggio della compagnia.

La polizza, di solito, ha tre tipi di clausole:

– il primo disciplina l’oggetto in modo ampio;

– il secondo esclude dalla garanzia una serie di danni;

– il terzo include nella copertura una parte delle ipotesi escluse in cambio di un sovrappremio.

Il premio, d’altronde, costituisce il corrispettivo per il rischio medio calcolato in chiave probabilistica rispetto a una massa di casi omogenei.

Più l’oggetto è delimitato, più l’onere economico si sposta dalla compagnia al cliente. E se il premio non si riduce contestualmente, la clausola di esonero può essere la spia del vantaggio che la compagnia si riserva senza giustificazioni. La Corte d’appello non ha verificato se le esclusioni del rischio rendono improduttiva di effetti la polizza. Che nel dubbio va interpretata a favore dell’assicurato perché predisposta in modo unilaterale dalla compagnia.

Equa distribuzione. Detto in soldoni: l’operazione economica sottesa alla polizza assicurativa deve risultare funzionale a realizzare un piano di distribuzione dei rischi che garantisca l’equilibrio delle posizioni contrattuali. E «cresce» nella giurisprudenza di legittimità «la tendenza a disvelare», osserva il collegio, «i tentativi di veicolare la gestione di interessi di parte» nascosti dietro clausole che in concreto neutralizzano il rischio ad esclusivo vantaggio dell’assicurazione, se non lo trasferiscono addirittura a carico del cliente, andando oltre il corretto rapporto fra equilibri e rischi e risolvendosi «in una fonte di rendita parassitaria» per le compagnie. Il tutto, beninteso, tenendo conto delle peculiarità del contratto di assicurazione, che rispetto ai comuni negozi corrispettivi si fonda su di un qualcosa in più: la comunione tecnica dei rischi, vale a dire quella complessa e raffinata operazione basata su metodi statistico-attuariali che consente alle compagnie di assumere i rischi calcolando il premio corrispondente. Il contratto con il cliente ha sì natura corrispettiva, ma l’equilibrio fra le parti è costituito dalla scambio della promessa di pagare l’indennità da parte della compagnia di fronte al pagamento del premio, mentre la misura di quest’ultimo non entra nello scambio privatistico: risulta infatti condizionata da fattori esterni, che derivano dall’inserimento del singolo rischio nella comunione; detto questo, la quantificazione del premio non può tuttavia non assumere un valore determinante per accertare quale sia il limite massimo dell’obbligazione a carico dell’assicurazione affinché l’equilibrio possa ritenersi rispettato. E dunque deve esserci corrispondenza fra l’ammontare del premio e il contenuto dell’obbligazione a carico della compagnia.

Poniamo che alla clausola che limita la responsabilità dell’assicurazione, o addirittura la esonera, non corrisponda la riduzione del premio: in tal caso c’è l’indizio del vantaggio che l’impresa si riserva in modo ingiustificato e a escluderlo non basta che il cliente abbia accettato consapevolmente il piano proposto dall’assicuratore.

Che cosa deve fare, allora, il giudice del merito? Verificare se il piano di distribuzione dei rischi previsto dalla polizza soddisfa il requisito della causa in concreto del contratto. E ciò, oltre che sotto il profilo della liceità, accertando se l’assetto del contratto è funzionale a realizzare gli interessi specifici perseguiti dalle parti oppure se ci sono gli estremi di uno squilibrio significativo fra i diritti e gli obblighi dei contraenti; il che si verifica quando viene meno l’interesse effettivo di una delle parti a stipulare il contratto, proprio per la presenza di clausole che delimitano il rischio. Risultato: vanno sanzionate le pattuizioni che valgono ad assicurare un rischio nullo o cessato, rispettivamente per difetto originario ex articolo 1904 c.c. oppure sopravvenuto ex articolo 1896 c.c. per lo spostamento patrimoniale a carico del contraente, laddove il premio non risulta sorretto da alcuna giustificazione in quanto manca il rischio.

Sanzioni patite. Nel caso del geometra l’annullamento con rinvio della sentenza d’appello scatta perché l’interpretazione della polizza rc cui arriva la Corte territoriale, con la sommatoria di due clausole che escludono la copertura, si traduce nell’inoperatività della garanzia: rende praticamente nullo il rischio assicurato a vantaggio dell’assicurazione e priva il contratto di qualunque utilità pratica per il professionista, rendendo in definitiva privo di giustificazione lo spostamento patrimoniale a carico del cliente.

Il contratto, invece, va interpretato ricostruendo l’effettiva volontà delle parti in modo da evitare «l’inconveniente della sua assoluta improduttività di effetti».

Non si può esonerare l’assicurazione solo perché la compagnia risponde unicamente in caso di sanzioni, multe e ammende al cliente dell’assicurato mentre nella specie a essere sanzionati non sono i venditori dell’immobile: quest’ultimi, invero, risultano comunque tenuti a risponderne nei confronti dell’acquirente.

L’espressione «sanzioni inflitte» contenuta nella clausola della polizza deve essere intesa come sanzioni patite, in linea con quanto propone lo stesso sostituto procuratore generale della Cassazione nella sua requisitoria: facendo invece dipendere la copertura assicurativa dalle «vicende circolatorie del bene», dunque dalla compravendita dell’immobile, viene meno la funzione stessa della polizza, vale a dire «difendere il geometra dagli errori tecnici compiuti in danno dei clienti».

Il giudice di secondo grado esonera l’assicurazione perché la nota tecnica firmata dal professionista ha escluso la difformità dell’immobile rispetto alle prescrizioni urbanistiche e quindi sortirebbe comunque la violazione edilizia di cui i suoi clienti venditori sono chiamati a rispondere nei confronti dell’acquirente.

La Corte d’appello, tuttavia, non tiene conto del fatto che il geometra non è responsabile diretto della violazione edilizia per cui scatta la sanzione amministrativa: all’assicurato si imputa il mancato rilievo di una difformità che non è riconducibile al suo operato, mentre il danno che è chiamato a risarcire ai clienti non risulta frutto dell’illecito urbanistico ma viene determinato per equivalente in misura pari alla somma che i venditori hanno dovuto versare all’acquirente; quest’ultimo al momento di presentare la denuncia di inizio attività per i lavori nell’immobile scopre che l’intero edificio ha subito un aumento di volumi mai sanato o condonato. Parola al giudice del rinvio.

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