PREVIDENZA

Intervista al Dott. Cristiano Fiumara esperto in previdenza complementare

a cura della Redazione

Cristiano Fiumara

Recentemente  eletto  al  Consiglio di Amministrazione di un Fondo Pensione, Cristiano Fiumara, esperto in materia previdenziale è iscritto al Registro dei Formatori Professionisti AIF (Associazione  Italiani  Formatori). Vanta una pluriennale esperienza come docente, avendo partecipato come relatore a numerosi convegni organizzati sia dagli ordini professionali sia da alcuni atenei. Nel mese di giugno 2020 ha tenuto  un seminario in collaborazione con Università degli Studi di Milano Bicocca, presso  la Scuola  di Economia e Statistica, Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi.

Considerando l’attuale sistema pensionistico quali sono le prospettive future?
La Riforma delle Pensioni del 2011 (Monti-Fornero) ha esteso a tutti i lavoratori il sistema contributivo secondo cui, l’ammontare della pensione è definito in base ai contributi versati, seguendo il principio “più versi, più avrai”. L’importo della pensione è determinato dalla somma dei contributi accumulati e rivalutati durante la vita lavorativa. Questa somma viene convertita in pensione utilizzando coefficienti di trasformazione che variano in relazione all’età del lavoratore al momento del pensionamento: più elevata è l’età, più alta sarà la pensione.
I fattori determinanti per il calcolo della pensione sono:
• l’ammontare dei contributi versati;
• l’età raggiunta al momento del pensionamento;
• il PIL, ovvero la crescita della ricchezza del Paese.
Oggi la percentuale delle pensioni liquidate dall’Inps interamente con regime contributivo è una minima parte, inferiore al 10%. Il sistema contributivo esplicherà completamente i suoi effetti nel lungo periodo (tra il 2040-2050).
Come vengono finanziate le prestazioni pensionistiche erogate in favore dei lavoratori?
Nei regimi previdenziali pubblici obbligatori (gestiti dall’Inps) per finanziare le prestazioni pensionistiche erogate in favore dei lavoratori viene utilizzato il sistema a ripartizione. Tale sistema prevede che i contributi ricevuti in un anno siano utilizzati interamente per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno. In pratica i contributi versati dai soggetti obbligati (lavoratori ed aziende) al sistema previdenziale vengono utilizzati per erogare le prestazioni pensionistiche ricevute dagli aventi diritto nel medesimo anno.
Questo sistema ha due svantaggi:
• risente dei fenomeni d’invecchiamento della popolazione (rapporto tra attivi e numero delle nuove pensioni)
• rinvia la copertura dei diritti che si vanno maturando al momento in cui saranno esigibili; sposta, quindi, sulle generazioni future gli oneri relativi agli attuali iscritti.
La differenza tra assistenza e previdenza è ben definita?
La differenza tra assistenza e previdenza deriva dall’articolo 38 della Costituzione (capitolo 1° e 2°). L’assistenza ha come obiettivo quello di tutelare i soggetti in condizioni di bisogno ed è attuata direttamente da Stato, Regioni ed Enti Locali con risorse derivanti da imposte. Può esplicarsi in forme diverse: economiche o prestazioni sociali. La previdenza si basa, invece, su prestazioni derivanti esclusivamente dai contributi versati durante l’attività lavorativa (da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro). Si tratta, in sostanza, di un salario “differito”. In molti paesi europei queste voci sono più chiaramente distinte, in Italia, invece, questa differenziazione è da sempre molto labile.
Come sta cambiando la spesa per la previdenza e l’assistenza?
Se i numeri sulle pensioni confermano gli effetti positivi, in termini di stabilizzazione della spesa pensionistica, conseguiti grazie alle ultime riforme, è forse la continua crescita dei trasferimenti assistenziali a destare preoccupazione: 110,15 miliardi di euro nel 2018 destinati probabilmente a lievitare a 121 miliardi quest’anno con il reddito e le pensioni di cittadinanza. Ci sarà una sempre maggiore integrazione tra previdenza, sanità e assistenza: è la nuova frontiera del welfare complementare, che si propone di supportare i sistemi pubblici non solo per sostenere le pensioni ma anche per coprire i bisogni di protezione in caso di problemi di salute, interventi di una certa gravità o perdita di autosufficienza. Del resto quale interesse ci può essere ad avere una buona pensione, se una grave malattia o un progressivo decadimento fisico, possono compromettere il livello effettivo del nostro benessere? In un Paese, come l’Italia, che invecchia, la mancanza di autosufficienza e il soddisfacimento delle esigenze legate all’assistenza di lungo termine dei cittadini, stanno già esercitando una pressione crescente sul welfare state pubblico, sempre meno sostenibile. Secondo il recente “Bilancio del sistema previdenziale italiano”, elaborato da Itinerari previdenziali, l’incidenza della spesa assistenziale su quella pensionistica pura (al netto delle imposte) è passata dal 56,4% del 2014 al 67,96% del 2018.
In tema di assistenza, la principale novità è l’introduzione del reddito di cittadinanza…
Da tempo l’Ue ha individuato nel Reddito minimo garantito una policy da integrare ad altre politiche occupazionali per sconfiggere povertà ed emarginazione, esortando i paesi membri a dotarsi di questa misura già nel 1993. L’Italia è stata tra gli ultimi ad uniformarsi.
Che cosa comporta, ad esempio, l’ottenimento della pensione di cittadinanza?
Essa si rivolge ai nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più membri di età non inferiore ai 67 anni, e si sostanzia nella erogazione di un sussidio integrativo della prestazione previdenziale già corrisposta fino al raggiungimento di una determinata soglia. Più nello specifico il beneficio economico in esame si compone di due elementi: il primo volto ad integrare il reddito riferibile al nucleo fino alla soglia di 7.560,00 euro annui, il secondo, invece – rivolto esclusivamente ai nuclei familiari residenti in abitazione in locazione -, è pari all’ammontare annuo del canone di locazione dichiarato ai fini ISEE, fino ad un massimo di 1.800,00 euro annui.
Quali sono oggi i principali strumenti di cui possono disporre i cittadini italiani per garantirsi una rendita pensionistica in presenza di una pensione pubblica insufficiente e/o mai maturata per carenza di requisiti?

Per gli over 65enni si pone spesso il problema di affrontare le necessità economiche che insorgono con l’età ed, in assenza di una rendita complementare erogata da un fondo pensione complementare o di una rendita assicurativa derivante da una polizza vita con finalità previdenziali (cosiddette rendite immediate differite), si arriva purtroppo a dover pensare di “sacrificare” la propria casa, quale strumento di sostegno per la vecchiaia, attraverso alcune soluzioni patrimoniali messe a disposizione dalla legge: contratto di mantenimento, nuda proprietà e prestito vitalizio ipotecario.
Vediamo sinteticamente quali sono le implicazioni di queste soluzioni:
• contratto di mantenimento: una parte (vitaliziante) si obbliga, in corrispettivo del trasferimento di un bene o della cessione di un capitale, a prestare all’altra parte (vitaliziato) assistenza materiale e/o morale, vita natural durante. In questo caso la cessione della casa avviene in cambio dell’impegno della controparte a fornire un sostegno in termini di accudimento fisico e/o morale della persona che rinuncia alla proprietà;
• nuda proprietà: permette di continuare a vivere per il resto della vita nella “propria” casa (di cui si mantiene l’usufrutto o la riserva di abitazione). Questo contratto consente all’anziano di continuare ad abitare nella propria casa, grazie alla riserva di usufrutto, traendo però immediata liquidità dalla vendita della nuda proprietà;
• prestito vitalizio ipotecario: è un finanziamento a medio e lungo termine concesso da banche o intermediari finanziari a persone di età superiore a 60 anni compiuti (Legge 2 aprile 2015, n.44) e garantito da ipoteca di primo grado iscritta su un immobile ad uso residenziale a garanzia della restituzione del prestito, degli interessi e delle spese. La durata del prestito non si può stabilire a priori perché dipende dalla durata della vita del soggetto finanziato. Inoltre se il finanziamento è cointestato al coniuge o al convivente, si fa riferimento alla durata della vita del più longevo dei due della coppia. Come evidenziato dal Consiglio nazionale del notariato, la norma sancisce anche il diritto della banca di recuperare il proprio credito al di fuori di qualsiasi procedura esecutiva immobiliare, evitando sì le lungaggini giudiziarie, ma altresì le tutele per il debitore. In sostanza la procedura di recupero del credito derivante da “prestito vitalizio ipotecario” è interamente “degiurisdizioalizzata” ed affidata allo stesso creditore, che ne gestisce ogni fase, dalla nomina del perito alla vendita del bene, sino alla restituzione agli eredi dell’eventuale eccedenza del prezzo rispetto al debito garantito..

Quali sono le preferenze che gli europei hanno manifestato nella fase di accumulo delle risorse previdenziali?

Tra le esigenze che i cittadini del continente mettono al primo posto riguardo alle scelte previdenziali c’è la sicurezza. Un piano pensionistico – attesta il recente studio di “Insurance Europe” deve innanzitutto essere in grado di tranquillizzare rispetto al rischio di subire perdite nel corso del periodo di accumulo. È la priorità indicata nel 60% delle risposte e supera di gran lunga le altre esigenze come la flessibilità, la possibilità di trasferire ai propri eredi i risparmi o di riscattare anzitempo i capitali accumulati.

Quali sono gli scenari che ci attendono?
Già prima dell’esplosione della pandemia, in Europa non si risparmiava abbastanza per la previdenza. Sempre secondo quanto emerso nello studio di “Insurance Europe” il 43% (il 53% in Italia) dei cittadini non stavano accantonando risorse per la vecchiaia. Diventa difficile immaginare che all’indomani di Covid-19 tale gap si possa ridurre, perché nei bilanci familiari, sotto stress per le conseguenze dell’epidemia, sarà ancora più difficile canalizzare risorse per risparmio previdenziale. Le ultime stime della Ragioneria Generale dello Stato (2019) indicano che il tasso netto di sostituzione complessivo (importo delle pensioni di base e complementari sull’ultima retribuzione) della previdenza italiana si dovrebbe mantenere a un livello elevato, intorno all’82% al 2040. Ma per centrare quell’obiettivo la crescita media del Pil dovrebbe essere dell’1% annuo e ciò stride con i dati attuali, e per giunta i contribuenti dovrebbero avere carriere senza interruzioni e utilizzare per intero il plafond esente fiscalmente per costruire piani di previdenza complementare (€ 5.165 l’anno). Insomma in assenza di una importante crescita economica, nei prossimi anni le stime dovranno essere probabilmente riviste. Occorrerà rilanciare la previdenza complementare lavorando sulla mancata consapevolezza dei bisogni: alcuni Paesi europei hanno già istituito da anni il “portale delle pensioni”, dove tutti i cittadini possono avere il quadro unitario di tutti i contributi versati, anche se distribuiti in più enti o nei fondi complementari, e vedersi stimata la pensione complessiva. Speriamo presto di arrivarci…

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