Obblighi gravosi per le società con il decreto legislativo che recepisce la direttiva Pif
Sempre più reati tributari fra i delitti-presupposto
Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti

Aggiornamento dei modelli 231 non più procrastinabile: è quanto consegue dal dlgs n. 75/2020, entrato in vigore il 30 luglio scorso, e che recepisce la direttiva europea nota come «Pif» (protezione interessi finanziari). Tra le disposizioni di più immediato impatto per le imprese, spicca la responsabilità amministrativa da reato per le grandi frodi Iva, completando così l’opera di estensione della responsabilità ex dlgs n. 231/2001 all’ambito penal-tributario, già in parte realizzata con la riforma dello scorso dicembre di cui alla legge 157/2019.
Le aziende «virtuose». Tra i necessari adempimenti a cui le imprese sono chiamate al ritorno dalla pausa estiva, priorità dovrà essere assicurata all’aggiornamento dei modelli organizzativi, che non potrà essere meramente cosmetico. Non è a priori da escludere, tuttavia, che qualche azienda si sia già anticipatamente conformata ai nuovi obblighi.

Invero, dopo l’inserimento del riciclaggio, nonché dell’autoriciclaggio, nell’ambito del catalogo ex dlgs 231/2001, in molti avevano già evidenziato che di fatto i reati tributari avrebbero dovuto considerarsi, pur in via indiretta, già ricompresi tra i reati-presupposto del decreto, e che pertanto nei propri modelli le imprese avrebbero dovuto già contemplare la prevenzione dal rischio di questo reato.

In particolare, essendosi posta la questione se i reati tributari potessero generare un’utilità e questa potesse avere una evidente concretezza nel patrimonio del reo, nonché se il legislatore avesse inteso far riferimento a qualsiasi beneficio patrimoniale, fino a ricomprendervi una mancata diminuzione patrimoniale, gli studiosi avevano richiamato quella giurisprudenza penale che aveva già affrontato e definito i termini del concetto di risparmio fiscale, includendo nel profitto del reato tributario anche il «risparmio di spesa o di imposta».

La Suprema Corte a Ss.Uu. (sentenza n. 8374/2013) ha chiarito infatti che «il profitto è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito di accertamento del debito tributario».

Sulla scia di tale pronuncia, gli interpreti avevano osservato che anche i reati fiscali, producendo un profitto economicamente quantificabile e facendo acquisire al reo quella res infungibile che può essere poi oggetto di trasferimento e reimpiego, fossero da idonei a fungere da presupposto per l’azionabilità delle ipotesi di riciclaggio di cui agli artt. 648-bis ss. c.p.

Ragionamento condiviso dalla Suprema Corte, che nel tempo ha consolidato l’orientamento per cui «tutti i delitti dolosi, e, quindi, anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio», puntualizzando altresì che il riferimento normativo alle «altre utilità» ricomprende il risparmio di spesa da omesso pagamento delle imposte dovute, poiché lo stesso produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica (così già Cass. pen. n. 6061/2012; Cass. pen. n. 49427/2009).

Con l’ulteriore conseguenza, quindi, che anche i modelli organizzativi funzionali alla prevenzione del suddetto reato di riciclaggio avrebbero già dovuto tenere conto del rischio di commissione degli illeciti tributari.

Le aziende «facilitate». Ciò detto, avendo il legislatore introdotto qualche mese fa nel dlgs n. 231/2001, con l’art. 25-quinquiesdecies, una fattispecie specifica relativa ai reati tributari, nonché avendone ora ampliato ulteriormente la portata con il dlgs n. 75/2020, l’opportunità di aggiornamento è diventata adesso un’urgenza non più procrastinabile.

Restano pertanto da chiarire le azioni e le misure da porre in essere per prevenire la commissione del reato e di conseguenza per la costruzione di uno modello 231 efficace ed efficiente.

In posizione agevolata si trovano innanzitutto le banche che hanno adempiuto all’obbligo di istituire, nei tempi, nelle forme e con le modalità prescritte dalla Banca d’Italia nella circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, un efficace presidio del rischio fiscale basato sull’articolata collaborazione tra funzione fiscale interna (ove esistente) e funzione compliance.

Altresì avvantaggiate sono le imprese di grandi dimensioni che hanno aderito al «regime di adempimento collaborativo» (c.d. Tax Control Framework), istituito con il dlgs n. 128/2015, e che ha l’obiettivo di instaurare, tra amministrazione finanziaria e contribuenti, un rapporto di fiducia e collaborazione tramite l’interlocuzione costante e preventiva sulle questioni fiscali rilevanti: specificamente, i soggetti che hanno aderito al regime di adempimento collaborativo dovevano essere già in possesso, alla data di presentazione della domanda, di un efficace sistema di controllo del rischio fiscale inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno.

Consigli operativi per tutte le altre. Per tutti gli altri soggetti, invece, il lavoro di adeguamento potrebbe non essere immediato, e questo per più di una ragione.

In primis, va considerato che il ciclo attivo e passivo accomuna tutte le imprese, così come la presenza di plurimi soggetti abilitati ad acquistare beni e servizi per la società e di centri dai quali pervengono dati e informazioni per la fatturazione attiva; con la conseguenza che, a differenza di molte altre fattispecie di reato, i reati tributari sono pervasivi nel contesto dell’attività di impresa ed è quasi impossibile relegarli in ambiti di attività specifici o circoscritti.

Inoltre, il rischio che possano essere perpetrati gli illeciti di utilizzo ed emissione di fatture false è direttamente proporzionale alla complessità del meccanismo pocanzi descritto, il più delle volte purtroppo nemmeno adeguatamente digitalizzato, nonché al numero di Paesi esteri, oltre che dei soggetti, spesso coinvolti.

Pertanto, una valutazione preliminare delle attività e delle aree dell’impresa a maggiore rischio fiscale, unitamente alla consulenza di professionisti che nell’esaminare i processi e l’organizzazione interni ne intercettino eventuali carenze e suggeriscano tempestivamente misure correttive, diviene oggi più che mai imprescindibile.

A titolo esemplificativo, tra le attività sensibili, il monitoraggio continuo nonché la definizione di ruoli formalizzati e di codificate procedure di rilevazione e gestione dei rischi saranno raccomandabili in primis per la gestione degli approvvigionamenti di beni e servizi, intervenendo tanto sulla scelta dei fornitori (e in generale dei contraenti), mediante un processo selettivo documentato e tracciabile, quanto sull’oggetto della prestazione, regolando gli approvvigionamenti tramite contratti e ordini in forma scritta, nei quali vengano espressamente indicati il prezzo del bene o il corrispettivo del servizio (peraltro già anticipatamente definiti in linea con i prezzi del mercato).

Inoltre, tra le ulteriori aree altamente a rischio di reati tributari, spiccano la gestione contabile-amministrativa e la predisposizione del bilancio e delle dichiarazioni fiscali, così da imporsi la correttezza, la completezza e la tracciabilità dei dati utilizzati per tali adempimenti, mediante conservazione e archiviazione della documentazione rilevante.

© Riproduzione riservata

Fonte: