La sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2020 ha stabilito che si può escludere la punibilità per «particolare tenuità del fatto» del reato di ricettazione attenuata e di tutti reati con pena detentiva senza un minimo edittale.

di I. Macrì e L. Della Pietra

Con la sentenza n. 156 del 21 luglio 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva.

La pronuncia della Corte Costituzionale

«La causa di non punibilità della Particolare tenuità del fatto è applicabile al reato di ricettazione attenuata, previsto dal secondo comma dell’articolo 648 del codice penale, e a tutti i reati ai quali, non essendo previsto un minimo edittale di pena detentiva, si applica il minimo assoluto di 15 giorni di reclusione»

Il reato e l’antifrode assicurativa
Per l’Art. 648 del Codice Penale commette reato di ricettazione: «Chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare…» Può essere oggetto di ricettazione anche: una patente di guida, una carta di circolazione, una polizza assicurativa e qualsiasi altro documento utile a perpetrare una frode assicurativa.
Il caso

In particolare, il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p. in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. La norma censurata, infatti, avrebbe violato i parametri costituzionali surriferiti, nella parte in cui, limitando l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ne escludeva la fattispecie di ricettazione attenuta da particolare tenuità, la cui pena detentiva massima, ex art. 648, comma 2, c.p., è pari a sei anni di reclusione. Al contrario, la medesima causa di non punibilità, in ragione di un massimo edittale confinato nel limite dei cinque anni di reclusione, era applicabile a delitti omogenei alla ricettazione (quali il furto, il danneggiamento e la truffa), benché gli stessi avessero una pena detentiva minima superiore a quella della ricettazione attenuata. Quanto detto, nella prospettazione del Tribunale di Taranto, avrebbe generato una disparità di trattamento, certo contraria ai principi di ragionevolezza e di finalismo rieducativo della pena.

Il precedente

Invero, questione di egual portata era già stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 207 del 2017, aveva dichiarato non fondate, in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., le doglianze di legittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., nella parte in cui non estendeva l’applicabilità dell’esimente all’ipotesi attenuta nell’art. 648, comma 2, c.p., in ragione del massimo edittale di pena detentiva superiore ad anni cinque. La declaratoria di infondatezza era stata motivata sia con il rilievo di inidoneità̀ dei tertia comparationis elencati dal giudice a quo, troppo eterogenei per poter fungere da modello di una soluzione costituzionalmente obbligata. Ma anche con l’esigenza di salvaguardare la discrezionalità legislativa espressasi nella posizione del limite massimo dei cinque anni. Limite che non poteva considerarsi, né irragionevole, né arbitrario, ma rientrante nella logica del sistema penale che, nell’adottare soluzioni diversificate, prende in considerazione l’astratta gravità dei reati.

L’attesa di un intervento legislativo

Nella citata pronuncia la Corte aveva osservato che «se si fa riferimento alla pena minima di quindici giorni di reclusione, prevista per la ricettazione di particolare tenuità̀, non è difficile immaginare casi concreti in cui rispetto a tale fattispecie potrebbe operare utilmente la causa di non punibilità̀ (impedita dalla comminatoria di sei anni), specie se si considera che, invece, per reati (come, ad esempio, il furto o la truffa) che di tale causa consentono l’applicazione, è prevista la pena minima, non particolarmente lieve, di sei mesi di reclusione», cioè̀ una pena che «secondo la valutazione del legislatore dovrebbe essere indicativa di fatti di ben maggiore offensività»; dunque,  per ovviare all’incongruenza, si era aggiunto che «oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di non punibilità̀ non possa operare, potrebbe prevedersi anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità̀». In altri termini, i giudici di legittimità avevano invitato il legislatore ad operare un intervento additivo sulla norma penale, ma invano.

La declaratoria di illegittimità costituzionale

La circostanza che il legislatore non abbia sanato l’evidente scostamento della disposizione censurata dai parametri costituzionali, infatti, ha imposto l’intervento della Corte Costituzionale, questa volta con lo strumento della declaratoria di illegittimità costituzionale.

Le motivazioni

Specificatamente, la Corte, nella sentenza n. 156/2020, principiando dal rilievo che la mancata previsione di un minimo edittale di pena detentiva, e quindi l’operatività̀ del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall’art. 23, primo comma, c.p., richiami per necessità logica l’eventuale applicazione dell’esimente di particolare tenuità̀ del fatto, ha evidenziato come l’assoluta mitezza del minimo edittale di cui all’art. 648, comma 2, c.p., sia fondata su una valutazione legislativa di scarsa offensività in riferimento alla ricettazione attenuata. Ne discende che l’opzione del legislatore di consentire di comminare la pena detentiva nella misura minima assoluta rivela senza dubbio alcuno che lo stesso ha previsto che possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più̀ tenue offensività. Dunque, in merito a queste ultime, secondo la Corte, è manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131 bis c.p., quale discende da un massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione, dovendosi indi censurare la norma, per violazione all’art. 3 della Costituzione. D’altro canto, diversamente opinando, si finirebbe per ‘tradire’ la ratio intima della disposizione di cui all’art. 131 bis c.p. e motivo della sua introduzione, da rinvenirsi proprio nel rispetto dei principi di offensività, sussidiarietà e proporzionalità, oltre a fungere da strumento di deflazione dei carichi giudiziari.

Conclusioni

La declaratoria di illegittimità̀ costituzionale dell’art. 131 bis c.p., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità̀ per particolare tenuità̀ del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva, fa salvi tutti i requisiti applicativi dell’esimente che prescindono dall’entità̀ edittale della pena; difatti, anche nell’ipotesi di ricettazione attenuata ex art. 648, secondo comma, c.p., e in ogni altra ipotesi di reato privo di un minimo edittale di pena detentiva, l’esimente non potrà̀ essere riconosciuta quando la valutazione giudiziale di cui all’art. 133, primo comma, c.p. sia negativa per l’autore del fatto o la condotta di questi risulti abituale ovvero, ancora, quando ricorra una fattispecie tipica di non tenuità̀ tra quelle elencate dall’art. 131 bis, comma 2, c.p. In questi termini conclude la Corte Costituzionale nella pronuncia in esame, ribadendo ovverosia le circostanze dettate dalla norma nonché la valutazione che il giudice è chiamato ad operare ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità e dalle quali non si prescinde.