Nella partita Delfin-Nagel per ora i vincitori sono i soci, che dal 29 maggio hanno visto crescere il titolo del 27%. Ma una guerra può bruciare i guadagni realizzati. Quindi adesso ci vuole più chiarezza Alberto Nagel
Alberto Nageldi Luca Gualtieri
Le banche sono state uno dei comparti più penalizzati dalla tempesta del Covid e nei mesi del lockdown i ribassi borsistici non hanno risparmiato nessun istituto italiano. Così è stato per Mediobanca che, da febbraio a maggio, ha lasciato sul terreno quasi metà della propria capitalizzazione, sostanzialmente in linea con l’indice bancario di Piazza Affari. Alla fine di maggio però c’è stata un’inversione di tendenza: la richiesta di Delfin alla Bce di superare il 9,9% ha subito messo le ali al titolo che in tre mesi ha segnato un rialzo del 27% contro il +18% del Ftse Banche. Se insomma Leonardo Del Vecchio e il ceo Alberto Nagel stanno ancora muovendo i pezzi sulla scacchiera, per il momento l’unico vincitore è il mercato. Della performance del titolo Mediobanca peraltro ha beneficiato la stessa Delfin che, dopo aver comprato l’estate scorsa in area 9-10 euro, aveva visto inabissarsi il titolo fino ai 4,2 euro di marzo. Se la minusvalenza potenziale non è rientrata, certamente oggi Del Vecchio e il suo fidato collaboratore Francesco Milleri saranno meno preoccupati per la partecipazione in Piazzetta Cuccia. Si sa del resto che Mister Luxottica è da sempre molto attento al ritorno dei propri investimenti e alle strategie per incrementarlo. Lo ha dimostrato sia nelle fortunate iniziative imprenditoriali, da Luxottica a Fonciere des Regions, sia nelle partecipazioni finanziarie assunte nel tempo, da Unicredit a Generali. Macinare numeri è una delle sue passioni e da un anno ha iniziato a farlo metodicamente per Mediobanca. Anche perché, se è legittimo leggere motivazioni personali dietro il blitz in Piazzetta Cuccia, il patron di Delfin sta prendendo molto sul serio il proprio ruolo di investitore finanziario.

Su queste premesse potrebbe partire un dialogo con il vertice di Mediobanca. Al momento non ci sono incontri fissati, ma i toni cordiali della telefonata di mercoledì 26 sono stati interpretati da molti come un segnale di distensione. Tanto più che, trattando con la Bce, Mister Luxottica ha insistito parecchio sulla natura non ostile dell’investimento e sul valore puramente finanziario della partecipazione. Ma c’è di più. Un agreement potrebbe consentire a Del Vecchio di ottenere una rappresentanza diretta nel consiglio di amministrazione che sarà eletto all’assemblea del 28 ottobre e che deciderà la strategia dei prossimi tre anni. La lista che il board depositerà mercoledì 16 settembre è di fatto già pronta (dovrebbero uscire soltanto Alberto Pecci e Marie Bolloré) ma, a certe condizioni, potrebbe essere riaperta per inserire uno o due candidati vicini a Delfin. Va da sé che la tregua gioverebbe anche al vertice di Mediobanca. In assenza di un accordo infatti in assemblea Delfin dirotterà quasi certamente il proprio voto sulla Iista di Assogestioni (che dovrebbe ricandidare Angela Gamba e Alberto Lupoi). Sostenuta da Mister Luxottica la formazione dei fondi potrebbe a quel punto incalzare quella del board o perfino superarla come accaduto per Unicredit nel 2015. Un brutto segnale per il management di Mediobanca. Un agreement sarebbe anche nell’interesse degli altri azionisti, a partire dagli investitori istituzionali che rappresentano ormai oltre la metà del capitale. Se finora i soci hanno apprezzato la performance dell’istituto e salutato l’ascesa di Del Vecchio come un positivo elemento di discontinuità, la prospettiva di uno scontro solleva molte perplessità. Chi ha una certa esperienza di borsa sa molto bene quanto estenuanti baruffe sulla governance possano pregiudicare la redditività e i corsi dei titoli. Meglio insomma, si confida qualche fund manager, tifare per un accordo che preservi la stabilità di Mediobanca e della sua partecipata Generali. Opinione condivisa anche a Roma dove, se l’ipotesi di allargare l’impiego della golden share è stata per ora messa da parte, la partita viene comunque seguita con grande attenzione. Una guerra su Mediobanca insomma non sembra offrire grandi vantaggi.

Per rassicurare gli investitori peraltro gioverebbe conoscere più nel dettaglio il provvedimento con cui la Bce ha autorizzato la salita di Delfin. Non è ancora chiaro per esempio se l’ok della banca centrale sia o meno condizionato e se la holding lussemburghese (che pure si è presentata come investitore finanziario) abbia condiviso con il regolatore un progetto industriale. Qualcuno in questi giorni ha ricordato anche l’articolo 120 del Tuf che impone precisi obblighi di disclosure a chi superi la soglia del 10%, dagli obiettivi dell’investimento alle modalità di finanziamento dell’operazione. Se insomma gli elementi di incertezza non mancano, il mercato rimane cautamente fiducioso sull’esito della partita e sulla possibilità di nuovi, generosi guadagni. Obiettivi che, da investitore finanziario, anche Delfin dovrebbe perseguire. (riproduzione riservata)

Fonte: