L’intuizione a dicembre, l’asse con Unipol e Mediobanca, il lavoro sottotraccia a gennaio, le manovre di disturbo e il rilancio
Tutti i retroscena dell’ops su Ubi nel racconto di chi l’ha progettata

Luca Gualtieri
Giovedì 30 luglio chi si fosse aspettato di veder rimbalzare sull’asfalto i tappi di champagne, come accaduto in via Filodrammatici alla fine dell’opa Telecom, sarà forse rimasto deluso. Non solo perché i tempi sono cambiati da quel maggio del 1999 quando Roberto Colaninno e i capitani coraggiosi piantarono la bandiera della Olivetti sull’ex monopolista, ma anche perché in via Monte di Pietà lo stile della casa è diverso. «Siamo persone sobrie», si è confidato uno dei protagonisti dell’operazione che ha portato Intesa Sanpaolo al 90,21% di Ubi. «C’è stato soltanto un ristretto giro di telefonate in serata; anche perché il lavoro è stato molto duro, a tratti estenuante, e sentiamo tutti la necessità di prendere fiato». Se insomma il finale è stato all’insegna dell’understatement, fino alle ultime ore attorno all’offerta pubblica di acquisto e scambio ha orbitato freneticamente un pool di banker, legali e consulenti come non si vedeva da anni sul mercato italiano. Oltre alle dimensioni del deal e all’attenzione da parte dei regolatori, a complicare il lavoro di Intesa sono stati i numerosi colpi di scena che, da febbraio a giugno, hanno costellato la partita rendendone a tratti incerto il risultato.

La genesi del progetto è stata relativamente rapida, con la prima intuizione da parte di Carlo Messina e dei suoi più stretti collaboratori a dicembre e una colazione milanese tra il ceo di Intesa e il numero uno di Unipol Carlo Cimbri subito prima di Natale, per suggellare l’alleanza con Bper. Da qualche mese Ca’ de Sass stava analizzando diverse opportunità in Italia e all’estero, ma la scelta ha finito per cadere su Ubi sia per la vicinanza storica tra i due gruppi che per l’affinità dei modelli di business. Già a metà gennaio il cantiere procedeva a pieno ritmo sotto l’attenta regia del chief governance officer Paolo Grandi e del responsabile m&a Flavio Gianetti e con un selezionato gruppo di advisor già ingaggiati. La presenza di Mediobanca in cabina di regia non sorprende, al contrario certifica l’ormai consolidata vicinanza a Intesa. Non per niente la merchant ha lavorato su alcune delle ultime operazioni straordinarie di Ca’ de Sass, dall’alleanza con Intrum sui non performing loan all’accordo con Prelios per gli unlikely to pay. In piazzetta Cuccia il deal maker è stato il co-head del corporate e investment banking Francesco Canzonieri che Messina ha ringraziato personalmente nel corso della conferenza stampa di febbraio quando il progetto è stato ufficialmente presentato. Tra gli altri professionisti coinvolti nel cantiere vale la pena ricordare lo studio Pedersoli (dove, accanto a Carlo Pedersoli hanno lavorato i partner Giulio Sandrelli, Davide Cacchioli, Marcello Magro, Diego Riva e Alessandro Zappasodi), l’ex rettore della Bocconi Angelo Provasoli, Umberto Tombari per la negoziazione dell’accordo con Unipol, lo studio Gatti Pavesi Bianchi con un team guidato da Francesco Gatti e Carlo Pavesi, lo studio Puri Bracco Lenzi con il socio fondatore Paolo Puri per alcune tematiche fiscali, Andrea Zoppini per gli aspetti legati alle authority romane e Fabio Cintioli per le vicende Antitrust. Senza contare il lavoro dell’intera prima linea di Intesa da Mauro Micillo a Gaetano Miccichè, da Stefano Barrese a Raffaello Ruggieri.

La scelta di non concordare le condizioni del deal con il cda di Ubi ha certamente evitato quelle fughe di notizie che nel 2017 avevano pregiudicato il blitz su Generali, ma ha prodotto una levata di scudi inattesa nella sua veemenza. Consigliata dall’avvocato Sergio Erede Ubi ha messo in campo una serie di azioni di disturbo con il preciso obiettivo di ritardare l’avvio dell’offerta pubblica. In questa direzione sono andati prima l’esposto in Consob contro la clausola Mac (Material adverse change) poi l’azione legale presso il tribunale di Milano sul medesimo argomento e infine la dure accuse in sede Antitrust che hanno rischiato di porre un seria ipoteca sull’esito dell’operazione. Inizialmente infatti l’authority ha fatto proprie alcune delle obiezioni di Ubi, contestando l’architettura complessiva del deal. «Una linea che ci ha lasciato sconcertati anche se, con il provvedimento rilasciato il 16 luglio, l’Antitrust ha poi fatto cadere quelle obiezioni autorizzando il deal», spiega uno storico consulente di Intesa.

Se la luce verde dell’authority guidata da Roberto Rustichelli è stata un punto di svolta, il rialzo del prezzo annunciato venerdì 17 ha rappresentato l’imbocco del rettilineo finale. Una scelta quest’ultima maturata non tanto per vincere le resistenze dei vertici Ubi o per meglio stuzzicare gli investitori istituzionali, quanto per premiare un retail già messo a dieta dalla Bce sul fronte dei dividendi. Quell’annuncio ha innescato la valanga di adesioni che già all’inizio della scorsa settimana aveva raggiunto il 50% del capitale di Ubi per poi superare giovedì 30 la soglia del 90%. «Siamo tutti vincitori», ha dichiarato Messina dopo il fischio finale, cercando di rasserenare gli animi dopo sei mesi di battaglie. (riproduzione riservata)

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