di Roxy Tomasicchio

La rischiosità del credito resta alta ma gestibile e soprattutto non paragonabile ai picchi della crisi di otto anni fa. Infatti, l’emergenza da coronavirus fermerà il trend in miglioramento e porterà effetti negativi sui tassi di deterioramento dei crediti vantati dalle banche nei confronti delle società non finanziarie italiane, ma nonostante ciò non ci saranno le percentuali del 2012, anche grazie ai diversi interventi adottati da Autorità e sistema bancario stesso (ossia le diverse moratorie e i sostegni alla liquidità).
La stima arriva dall’Outlook di Abi e Cerved sui crediti deteriorati (Npl, non performing loans) delle imprese italiane. In particolare il report analizza il tasso di deterioramento (o di default) del credito, cioè il rapporto fra il numero delle posizioni creditizie che in un anno si deteriorano e lo stock di crediti non in default nel periodo precedente. Per default, inoltre, si intende un concetto più ampio di quello di sofferenza, in quanto tiene conto anche di alcune fasi di difficoltà del debitore meno gravi: i crediti deteriorati vengono classificati anche come scaduti e inadempienze probabili.

Premesso ciò e passando alle cifre, i tassi di deterioramento dei prestiti concessi alle imprese italiane tenderanno a crescere per effetto del Covid nel prossimo biennio, raggiungendo un picco del 4% nel 2021, per poi tornare a calare nel 2022. Nonostante la crisi, il fisiologico aumento della rischiosità, che interesserà le imprese di un po’ tutte le dimensioni è molto più basso rispetto al passato, non solo in uno scenario base, ma anche considerando la stima più pessimistica. I nuovi crediti in default si manterranno, infatti, su livelli distanti rispetto ai picchi raggiunti nel 2012 (7,5% a fine 2012), con incrementi che interesseranno maggiormente le aziende di piccola e media dimensione e le imprese operanti nell’edilizia e nei servizi. Anche nel caso di una nuova ondata di contagi in autunno, quando si stima che il tasso di deterioramento arrivi al 4,6%,

I tassi di deterioramento delle società non finanziarie, ovvero la quota di crediti in bonis passati allo status di deteriorati, si sono infatti contratti sia nell’ultimo trimestre del 2019 (dal 3,2% del 4° trimestre 2018 al 2,9% del 4° trimestre 2019) sia nel primo trimestre del 2020 (dal 3,1% del 1° trimestre 2019 al 2,9% del 1° trimestre 2020). Secondo le previsioni, dopo aver raggiunto nel 2019 i livelli più bassi della serie storica post-crisi finanziaria (2,9%), nel biennio 2020-21 i tassi torneranno a salire, con l’incidenza dei flussi di nuovi prestiti in default sul totale dei prestiti in bonis prevista al 3,8% nel 2020 e al 4% nel 2021, per poi ridursi nuovamente al 3,3% nel 2022. In uno scenario peggiorativo, i tassi di deterioramento raggiungerebbero il 4,5% nel 2020, portandosi al 4,6% nel 2021 per poi calare al 3,8% al termine del periodo di previsione. Nel 2022 i tassi di deterioramento sarebbero comunque su livelli inferiori o prossimi a quelli pre-crisi finanziaria (3,7% nel 2007).

L’impatto nel biennio 2020-21 sarà maggiore per le piccole (dal 2,1 del 2019 al 3,5% del 2021) e per le medie imprese (dall’1,7 al 3,1%), soprattutto nello scenario peggiorativo (rispettivamente 4,2 e 3,8% nel 2021). Settori più colpiti saranno l’industria (dal 2,3% del 2019 al 3,5% del 2021 nello scenario base) e le costruzioni (dal 4% al 5,1%), mentre nello scenario peggiorativo il settore più impattato è quello dei servizi (dal 2,8% del 2019 al 4,5% del 2021).

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