di Gaetano Costa
Una visita virtuale. Col medico in studio e il paziente sulla poltrona di casa. Il processo della telemedicina è semplice. E piace. Secondo un’indagine commissionata dalla divisione di urologia dell’ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, in provincia di Torino, dopo il lockdown l’88% delle persone in cura ha espresso un forte interesse per la nuova pratica medica. E in tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Puglia, la telemedicina è ormai una prassi.
Le visite a distanza si sono consolidate durante la quarantena. Quando andare in ambulatorio, in piena emergenza Covid, era un rischio sia per il paziente, sia per il personale sanitario. L’urologia di Orbassano, durante i due mesi di fase acuta della pandemia, ha sospeso l’attività ambulatoriale, col conseguente annullamento delle visite già programmate. L’équipe guidata del professor Francesco Porpiglia ha contattato telefonicamente i pazienti ai quali era stato interrotto il controllo clinico. Lo studio ha coinvolto 600 persone tra i 44 e gli 89 anni, per un’età media di 74 anni.

L’85% dei casi, secondo la rilevazione, ha riferito una stabilità dei sintomi al colloquio telefonico, permettendo di riprogrammare in sicurezza un controllo successivo. Il 46% degli intervistati, inoltre, si è detto favorevole a essere seguito con approcci di telemedicina anche dopo l’emergenza. Sia per il timore di eventuali contagi, sia per sperimentare la nuova tecnica medica.

Dall’altra parte, però, considerando l’età avanzata degli interpellati, è emerso il limitato grado di informatizzazione dei pazienti. Non tutti, telefono a parte, sono dotati di computer, tablet o connessione internet. «La telefonata da parte del medico per un aggiornamento sul quadro clinico, pur essendo di aiuto al paziente, è una cosa assai diversa dalla televisita», ha spiegato Porpiglia all’edizione locale della Stampa. «Quest’ultima dovrebbe sempre prevedere un contatto visivo, permettere di acquisire rilievi diagnostici e poter essere archiviata su una piattaforma telematica per opportuni confronti e valutazioni cliniche nel tempo».

«Da un lato», ha aggiunto, «la telemedicina sembra essere gradita e potenzialmente molto utile. Dall’altro, però, il basso grado di diffusione e conoscenza delle tecnologie, soprattutto tra gli anziani, ne limita l’applicabilità su larga scala. Occorre investire risorse per attrezzare le strutture sanitarie e gli utenti dei supporti telematici necessari e nello stesso tempo educare personale e pazienti all’utilizzo di queste tecnologie, avviando così un processo di alfabetizzazione digitale».

La pratica si è diffusa ovunque, da Nord a Sud. Ad Aosta la giunta regionale ha approvato le linee guida per implementare i servizi di telemedicina. In Toscana la Regione ha stipulato un accordo con l’Unione dei farmacisti con l’obiettivo di sviluppare «una serie di servizi rivolti al paziente cronico, che spaziano dalla sua presa in carico con relativo monitoraggio terapeutico all’assistenza domiciliare». In Puglia, invece, l’azienda informatica Loran ha digitalizzato il percorso chirurgico del policlinico e dell’ospedale Papa Giovanni XXIII con una piattaforma di telemedicina che punta all’informatizzazione delle strutture sanitarie. Anche la medicina, nella fase post pandemia, è sempre più 2.0.

© Riproduzione riservata

Fonte: