di Paola Valentini

Dal suo osservatorio, Prometeia analizza le dinamiche del mercato assicurativo, comprese le polizze legate alle gestioni separate di ramo I. Se da una parte queste analisi confermano la stabilità dei rendimenti negli anni, dall’altra permettono di far luce su cosa c’è dietro al dato medio. Ma le ricerche segnalano ulteriori aspetti di fondamentale importanza quando ci si trova di fronte a una polizza di questo tipo, a partire dai costi e dalle mosse delle compagnie per cavalcare le varie fasi del mercato dei titoli di Stato italiani che ancora oggi occupano la gran parte dei portafogli. Come spiega a MF-Milano Finanza Stefano Frazzoni, partner e responsabile della business line Insurance di Prometeia.

Domanda. Dottor Frazzoni, il rendimento medio di questi contratti nel 2018 è stato del 3,03% in base ai dati Ania. Ma comprende, accanto alle gestioni aperte al collocamento, anche quelle non più commercializzate e lanciate anni fa quando i Btp avevano tassi più elevati. Dal vostro osservatorio cosa emerge? Risposta. Noi analizziamo le gestioni separando quelle aperte al collocamento da quelle non più commercializzate. E nel 2018 le prime hanno reso in media il 2,97%, leggermente meno rispetto al 3,03% medio di tutto il mercato. Andrebbe anche fatta una distinzione tra le gestioni legate ai piani individuali pensionistici, che rendono in generale di più perché in quanto strumenti previdenziali consentono al gestore di costruire un’asset allocation di lungo periodo, e quelle invece dedicate all’investimento. Le prime nel 2018 hanno fatto il 3,26%, mentre le altre gestioni legate a prodotti di investimento hanno reso il 2,95%. Guardando sempre alle gestioni aperte, si può fare anche una segmentazione per canale distributivo, ovvero sportelli bancari e consulenti finanziari da una parte e agenzie dall’altra. C’è sempre stata differenza di rendimento, confermata anche nel 2018. Lo scorso anno infatti le gestioni collocate dalle reti bancarie e di consulenti hanno reso il 2,79% mentre le altre hanno fatto il 3,28% perché le agenzie generalmente vendono polizze legate a gestioni con una storia più lunga alle spalle, e quindi con in portafoglio obbligazioni emesse quando i tassi erano più alti, a differenza del canale bancassicurativo che si è sviluppato successivamente. D. Proprio la presenza di tassi sempre più bassi mette sotto pressione queste polizze che una volta arrivavano a rendere ben oltre il 5% grazie a Btp più generosi. Come affrontano la questione le compagnie? R. Ci aspettiamo che proseguirà la contrazione del rendimento, ma il movimento sarà molto modesto anche perché le compagnie per difendere le performance, di fatto, per
alcuni anni hanno limitato la commercializzazione delle ramo I. Che si sono riaperte a partire da metà 2018 quando lo spread è tornato ad aumentare e a quel punto le compagnie hanno riattivato l’operatività su questi prodotti perché con la raccolta potevano acquistare Btp con tassi più elevati. D. Nei primi sei mesi del 2019 la raccolta delle gestioni separate è in rialzo di oltre il 16% rispetto allo stesso periodo 2018. Vuol dire che le compagnie continuano a proporle? R. Sì, la tendenza è proseguita anche perché, nonostante il ribasso dello spread, di questi ultimi giorni, quest’anno il differenziale ha avuto diverse fasi in cui è finito sotto pressione. E le gestioni separate, man mano che sono cresciute in termini di attivi, hanno incamerato Btp a rendimenti più elevati. D. E ora che i rendimenti dei Btp sono ai minimi? R. Tradizionalmente la gestione separata è un prodotto alternativo al Btp, si è attratti da questo strumento perché non fa perdere e dà un rendimento accettabile. Il problema oggi del Btp è che non ti fa perdere, ma ha un rendimento inferiore. Quindi in uno scenario come l’attuale la gestione separata è appetibile per chi cerca un rendimento accettabile in un contesto di bassi tassi a fronte di un rischio perdita nullo. Ci sono poi le nuove norme Ivass in vigore dal 2018 che offrono flessibilità gestionale alle compagnie, senza che questo mi comporti un depauperamento delle possibilità di retrocedere rendimenti negli anni successivi, il che oggi è molto importante per poter offrire più del Btp. E infatti prevediamo che queste soluzioni saranno sempre più sfruttate. Con i rendimenti dei Btp che sono scesi molto si sono create plusvalenze, che adesso le compagnie possono realizzarle e accantonare. D. In che senso? R. La gestione separata ha sempre avuto l’obbligo di distribuire agli assicurati tutto il rendimento realizzato nell’anno, al netto dei costi, ma lo scorso anno Ivass ha introdotto la possibilità di accantonare il rendimento ottenuto in un fondo utili e di poterlo spalmare negli otto anni successivi. Una soluzione che permette di stabilizzare i risultati delle gestioni. La scelta dell’Ivass è stata quella di applicare questo meccanismo soltanto ai nuovi contratti, dunque per le compagnie si tratta di costituire nuove gestioni, oppure di creare una doppia contabilità all’interno di quelle esistenti dove coesistono vecchi e nuovi contraenti, e questo inizialmente ha frenato le compagnie. Ma riteniamo che questa modalità prenderà
sempre più piede perché in una contesto di tassi bassi è molto congeniale alla finalità di una gestione separata che è quella, appunto, di stabilizzare i rendimenti. A quanto ci risulta, ad oggi le compagnie che hanno creato questi fondi utili sono Amissima, Itas, Vera vita, Cattolica, Bcc vita e Generali. D. E la richiesta delle famiglie per queste polizze come procede? R. La domanda di questo tipo di prodotti è sostenuta nel momento in cui l’avversione al rischio delle famiglie è forte, dopo le performance negative dei mercati del 2018 e nonostante i buoni risultati di quest’anno. Il problema è l’offerta. Come dicevo prima, il mercato fino a giugno dell’anno scorso non cresceva perché le compagnie non si sentivano in grado di garantire la conservazione del capitale in un contesto di tassi più bassi, ma poi con tassi in aumento hanno riattivato la produzione. E oggi alcune reti utilizzano questi prodotti per fare nuova raccolta. D. Quali sono le tendenze sui costi? R. Il 3% circa di rendimento si traduce, in media, in un 2% netto perché bisogna togliere le commissioni di gestione, generalmente attorno all’1%. Un valore appetibile a fronte di una garanzia di conservazione del capitale, senza rischio di perdite. La garanzia è molto spesso a scadenza, mentre quella anno per anno non è più così diffusa per non ingessare la politica del gestore. Poi ci sono i caricamenti iniziali. In passato, soprattutto la bancassicurazione aveva sviluppato prodotti senza commissioni di ingresso, che adesso stanno ricomparendo come forma di disincentivo a un’uscita anticipata con l’obiettivo di stabilizzare i portafogli. La stessa finalità hanno le penali di riscatto, presenti al posto dei costi di ingresso. Per i gestori assicurativi è necessario impedire che il portafoglio sia volatile perché chi deve riuscire a ottenere rendimento in un contesto difficile ha bisogno di stabilità. In ogni caso i caricamenti hanno un impatto che si affievolisce nel tempo. Ad esempio un 3% di costo iniziale una tantum pesa su dieci anni circa lo 0,3%. Il 2% annuo diventerebbe circa l’1,7%, a confronto il rendimento del Btp è più basso. Senza dimenticare che le gestioni separate non prevedono l’imposta di bollo dello 0,2% annuo, che colpisce invece i Btp. Concorrenziale è anche l’aliquota fiscale sui capital gain che, se sui Btp è del 12,5%, per le polizze di ramo I si attesta attorno al 16-17% al massimo, considerando che investono la maggioranza dei propri asset in titoli di Stato e soltanto in via minoritaria in altri attivi finanziari come bond societari, azioni o fondi, tassati al 26%. (riproduzione riservata)
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